Il glutine che sconfigge il glutine: il paradosso della medicina contemporanea
Lo hanno scoperto i ricercatori della Northwestern Medicine, i quali hanno identificato una nanoparticella come la “via di fuga” principale da utilizzare per sconfiggere quella che può essere considerata la malattia, o più precisamente l’intolleranza, più comune del XXI secolo.
Chi l’avrebbe mai detto? Lo stop alla celiachia arriverebbe proprio dal glutine stesso. Lo hanno scoperto i ricercatori della Northwestern Medicine, i quali hanno identificato una nanoparticella come la “via di fuga” principale da utilizzare per sconfiggere quella che può essere considerata la malattia, o più precisamente l’intolleranza, più comune del XXI secolo. Proprio una nanoparticella così, che da anni vengono studiate per essere veicoli all’interno del nostro corpo e diventare farmaci capaci di curarci, sembra essere in grado di contrastare la celiachia: iniettata ai pazienti, ha permesso loro di mangiare glutine per due settimane senza risentirne. La celiachia, malattia autoimmune, è una di quelle patologie che, se tenute sotto controllo, con portano alla morte e, ad oggi, gli affetti la tengono a bada solo attraverso un’unica “terapia”: la “dieta senza glutine” che permette all’individuo affetto di evitare di ingerire cibi contenenti glutine. Secondo quanto riferito di recente in occasione del Convegno Annuale “The Future of Celiac Disease” dell’Associazione Italiana Celiachia, un nuovo studio italiano indica che il numero di pazienti è in crescita e sta toccando soglie mai viste finora: il 2% è sfiorato, così come il numero complessivo si aggira sul milione, anche se mancano all’appello molti pazienti che, avendo una diagnosi scorretta, vivono senza sapere di essere affetti dal disturbo: infatti, se da un lato nei bambini con sintomi classici la diagnosi può arrivare anche prima di due anni di vita, in molti adulti con segni meno usuali si può aspettare anche più di 6 anni.
Questa particella biodegradabile, contenente proprio il glutine, rappresenta il cavallo di Troia della scienza che permette al paziente affetto dalla malattia autoimmune di riconoscere il glutine come una sostanza innocua, evitando reazioni dannose alla salute del soggetto. I risultati della sperimentazione clinica saranno resi noti alla conferenza “European Gastroenterology Week” di Barcellona e raccontano di come questo perfetto meccanismo blocchi la malattia che danneggia le pareti intestinali: la nanoparticella viene iniettata nel sangue ed immediatamente captata da cellule immunitarie che ingoiano il suo “cargo” e, a loro volta, avvertono altre cellule della sua innocuità. «È uno studio del tutto innovativo», afferma Giovanni Cammarota, associato di Gastroenterologia del Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia della Fondazione Policlinico A Gemelli IRCCS, Università Cattolica di Roma, sottolineando come questo rappresenti «una specie di desensibilizzazione al glutine, simile all’approccio in uso oggi con alcune allergie. «È chiaro che questo è uno studio pilota che andrà ulteriormente verificato su più pazienti e per una durata maggiore del follow up», commenta Cammarota, «bisognerà vedere se l’approccio potrà funzionare nella pratica clinica, ma di certo», ribadisce l’esperto in conclusione, «si tratta di metodo innovativo, e rappresenta senz’altro un modo alternativo alla modalità attuale di trattamento che è la dieta priva di glutine». Il trattamento elimina del tutto qualsiasi reazione infiammatoria che sono costretti a subire i pazienti affetti da celiachia, e conta con un forte feedback da parte della autorità competenti: è stato già posto al vaglio dell’ente governativo statunitense Food and Drug Administration e sarà ora testato anche per altre malattie autoimmuni e per allergie alimentari come quella alle arachidi.