Autrice di opere quali “Fiore…come me”, scritto contro il femminicidio; “L’Uomo nero ha gli occhi azzurri” che narra la storia di due bambine violentate e rinvenute morte a Ponticelli nel 1983; e poi “Rapido 904 la strage dimenticata”, che le è valso il Premio “Autore dell’anno” alla quarta edizione del “White party” della Graus Editore, Giuliana Covella è anche una inarrestabile giornalista con il fiuto per lo scoop. Lo ha dimostrato anche passando alle pagine della Cultura del quotidiano Il Mattino, a cui ha fornito una lunga intervista con chi si è riconosciuta ne “L’amica geniale” dei racconti di Elena Ferrante, in questi giorni in versione fiction per la RAI.
“No no, l’ho scovata io!” mi spiega Giuliana quando, nel complimentarmi, le chiedo se l’intervista le è stata commissionata dal giornale o se è un suo scoop. “L’intervista l’ho fatta a giugno e sono andata a mie spese fino a Licola“.
Niente di anormale, è la vera fatica del giornalista farsi prendere in considerazione ed elemosinare un po’ di spazio, e non importa se sei scrittrice pluripremiata, perché nelle redazioni sono quasi tutti scrittori e premiati. Anche io lo sono!
La vera differenza tra un giornalista ed un altro non è l’iscrizione all’elenco dei professionisti o dei pubblicisti (che presto sarà unificato) ma nel verbo che lo precede: Essere o Fare!
Si è giornalisti sempre, anche quando si fa altro, anche se non si viene pagati adeguatamente o almeno quanto si meriterebbe. Giornalisti si nasce, è una malattia e, viste le condizioni in cui ci si ritrova ad operare, una maledizione. Chi è giornalista non riesce a stare inerme dietro ad una scrivania a riportare parole altrui, senza verificare, senza la curiosità di capire.
Le grandi testate devono a questi giornalisti il loro successo e considerazione, mentre chi fa il giornalista è convinto del contrario: Di essere importanti e considerati perché si collabora a testate di rilievo. Infatti, è stata la mia risposta a Giuliana: “Sei l’ennesima dimostrazione che è il giornalista a fare importante la testata e non il contrario!”.
Di seguito l’articolo, che è stato pubblicato solo sul cartaceo de Il Mattino, gentilmente concesso dall’autrice.
di Giuliana Covella per Il Mattino
«Uh, Gesù! E chi gliele ha dette queste cose a quella?!». Così esclamò Nunzia (all’anagrafe Annunziata) Gatta, 77 anni a settembre, nata e cresciuta al rione Luzzatti di Poggioreale, leggendo per la prima volta «L’amica geniale» di Elena Ferrante. Romanzo nel quale si è riconosciuta e rivista: «senza alcun dubbio è la mia storia – ammette – un giorno mi chiamò mio fratello Giuseppe e, subito dopo, due amici per dirmelo. Leggendo il romanzo ne ebbi la conferma». Nunzia, che oggi vive in una villa a Licola, insieme al marito Pier Augusto con cui ha viaggiato in tutto il mondo, ha 4 figli e 11 nipoti nati nei più svariati Paesi (Australia, Cina, Svizzera, Etiopia, Arabia Saudita, Iran, Gran Bretagna). «I personaggi di Lenù e Lila sono in realtà un’unica persona: io. Solo che l’autrice li ha sdoppiati rimarcando i due lati della mia personalità – dice – perché se nella prima ci sono la curiosità e la voglia di arrivare ovunque malgrado le difficoltà, la seconda ha la determinazione e l’essere vincente». Una scoperta nata per caso, all’epoca della prima uscita del bestseller, in cui Nunzia rivede ogni singolo capitolo della sua vita, dall’infanzia alla giovinezza, trascorsa tra gli isolati della zona industriale. A partire da una delle prime scene del libro, quando sboccia l’amicizia tra le due bambine che si arrampicano fino all’ultimo piano di una di quelle palazzine, dove vive Don Achille, «l’orco delle favole»: «anche io da piccola insieme alle mie amiche salivo lassù come prova di coraggio. Vinceva chi, sfidando la paura, riusciva ad arrivare in cima contando fino a 100. In realtà l’orco era solo immaginario, ma tutti i bambini ne erano terrorizzati per i racconti degli adulti».
Verosimili e veritieri – rispetto alla vita di Nunzia – tutti i fatti e i personaggi del romanzo della Ferrante: «Lila è a capo di una banda di ragazzine che picchia i maschi e io ero l’incubo dei ragazzini del rione. Li mettevo in fuga e difendevo le mie compagne mostrando le unghie. I graffi: con quelli li annientavo, oltre a tirare loro i capelli se infastidivano le bambine». E, come Lila, Nunzia si divertiva a lanciare sassi dal cavalcavia: «nella realtà è il ponte della metropolitana di Gianturco. Per noi rappresentava un confine che, una volta superato, ci avrebbe portato verso il mare». Quello stesso mare che lei da piccola vedeva solo negli stagni descritti ne «L’amica geniale»: «quelli del libro sono gli stessi dove andavamo a prendere i ranocchi con le “sciuscelle” (i frutti del carrubo) e a immergere i piedi quando il caldo si faceva asfissiante». Tanti i parallelismi con la Ferrante: «“Piccole donne” era il mio romanzo preferito, come Lila; la Biblioteca (oggi Andreoli) dove per leggere i libri avevo intestato più tessere a persone diverse, grazie al professor Collina, che nel libro diventa Ferraro; la maestra Oliviero della finzione letteraria nella realtà è colei che mi spinse a proseguire gli studi contro il volere di mio padre; i viaggi della protagonista che, proprio come me, va in giro per il mondo; e le tante sofferenze vissute dalle due protagoniste sono le stesse della mia infanzia e che ho rivisto in Africa, dove le bimbe tirandoti il vestito ti chiedono di andare a scuola». Ma a ricalcare i tratti distintivi del carattere di Nunzia è il personaggio di Lila: «come lei volevo insegnare alle mie coetanee ad emanciparsi dagli uomini e non accettavo la difficoltà che nasceva soprattutto dal mio essere donna in una società maschilista e patriarcale». Non mancano i riferimenti ai luoghi, come la salumeria del romanzo, nella realtà attigua alla merceria della famiglia Gatta; e la galleria dei personaggi del rione.
Sull’identità della Ferrante, che avrebbe preso spunto dalla sua storia per narrarla nella saga letteraria, Nunzia non ha dubbi: «avevo tante amiche e di sicuro è stata qualcuna di loro a raccontare le mie vicende sin da bambina. Forse proprio alla moglie di Domenico Starnone, che nel rione aveva una zia». Ora a raccontare quel rione, che nella tetralogia della Ferrante non viene mai menzionato, sono Maurizio Pagano e Francesco Russo, autori di «I luoghi dell’amica geniale», in uscita con 70 foto su Amazon tra pochi giorni. «Siamo nati e cresciuti qui – dicono – e confrontando i libri della Ferrante con alcune figure del quartiere, pezzo dopo pezzo, ne abbiamo ricostruito la storia». Il tutto condito da una storia inventata, che però lascia un alone di mistero su una donna smemorata (ispirata alla Gatta) che – grazie a una vecchia foto – ritorna dove è nata. L’idea è scaturita anche dallo scrittore svedese Peter Hallberg e dai tanti turisti che arrivano al rione Luzzatti dopo aver letto il libro della Ferrante. «Vanno soprattutto in biblioteca», dice Nunzia, la cui madre per uno strano caso si chiamava Elena.
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