“N per Narghilè”: tra moda e suicidio vince il filtro

Il Narghilè, quello sconosciuto. Oggi, 23 novembre 2019 è stata vinta la prima grande battaglia contro uno dei nemici principali della salute umana: il capo della corte suprema del Cairo, infatti, sta valutando in modo positivo la causa per cui è necessario applicare un filtro antivirale ed antibatterico al Narghilè.

Siamo di fronte ad un cambiamento epocale della cultura araba. Ma che conoscenza ha, invece, quella italiana a riguardo? Partiamo dall’inizio: il Narghilè è uno strumento tradizionale arabo che trova le sue origini molti secoli orsono e che vede, nel corso del tempo, metodi di utilizzo, tipologia di tabacco ed eventi sociologici fonte principale di espansione a livello globale. Nei paesi orientali come India, Iran, Turchia, Egitto e Siria, così lontani ma ultimamente così vicini a noi, fumare il Narghilè è un’esperienza di odori fruttati misto a una storia antica ed affascinante. L’Hookah (comunemente chiamata anche in questo modo, ndr) è un oggetto capace di trasformare l’interazione umana in tradizione e rendere il fumo stesso l’aspirazione “contemporanea” del passatempo e della compagnia in luoghi pubblici: esso non è visto come semplice strumento per fumatori, bensì come parte integrante della cultura dei popoli meridionali, un rito ed un’attività importante come punto d’incontro. Ha tale valenza sociale che i fumatori di Shisha si raccolgono negli “Shisha Bar” o ambienti informali dove potersi rilassare e vivere un vero e proprio momento di socializzazione o, se si preferisce, meditazione. Unione ed amicizia sono i punti cardini di questa attività alla quale molte persone si dedicano quotidianamente, elevandosi a tal punto da arrivare nel mondo occidentale come un oggetto fashion e alla moda da sfoggiare e far ammirare. Esso rappresenta sempre di più l’alternativa glamour al fumo delle sigarette, con un boom verificatosi nella convinzione che i suoi effetti siano meno devastanti e più salubri. Fake news a tutti gli effetti: come registrato in un articolo dell’Huffington Post del 2015 (https://www.huffingtonpost.it/2015/08/26/narghile-fa-male-equivale-a-100-sigarette_n_8041400.html), infatti, già si metteva a conoscenza del fatto che fumare il Narghilè “per ora è come inalare il fumo di 100 sigarette”. «Questo può essere associato alle differenze nei messaggi pubblicitari a cui questi gruppi sono esposti, la varietà di sapori che vengono loro offerte, e, nel caso delle sigarette elettroniche, una possibile tendenza dei giovani ad attribuire sentimenti più positivi verso nuovi prodotti che sono visti come alla moda e tecnologici», riferiscono in un comunicato Olivia A Wackowski e Cristine D. Delnevo, autrici dello studio, della Rutgers School of Public Health. Insomma, mentre si continua ad esplorare la sicurezza delle sigarette elettroniche, che costituiscono il secondo business più grande in termini di vendite dopo le sigarette classiche, bisognerebbe iniziare a considerare l’idea che queste, così come il Narghilè. Non portano alcun beneficio, ma anzi solo causare ulteriore dipendenza e veicolare sostanze cancerogene nella bocca e nei polmoni dei fumatori. Studi recenti hanno calcolato che attualmente sono più di 100 milioni le persone che a livello globale fumano il Narghilè almeno una volta al giorno. Ed ecco spiegato il perché di una lente d’ingrandimento posta per la sua peculiarità da un ispettore particolare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), che da sempre denuncia gli effetti negativi del fumo sui fumatori, concentrandosi sulla tossicità degli elementi inalati a livello polmonare e le cause che questi provocano a medio-lungo termine. Prima che il fumo, la WHO sta denunciando in maniera esplicita il rischio che sembra più preoccupante ed immediato: quello del contagio virale e batterico tra i fumatori. Problema che deriva, infatti, dalla particolarità stessa della condivisione tra più individui che si passano il tubo per fumare. Tra i rischi apportati alla salute, infatti, rientrano prepotentemente la trasmissione di herpes, tubercolosi ed epatite C dovuto alla mancata sterilizzazione del bocchino condiviso e alla scarsa manutenzione del cambio di acqua nell’ampolla. La risposta fornita a questo tipo di incognita è stata obbligando i locali a fornire i fumatori dei bocchini completi monouso, ma sembra soltanto l’ennesima pezza a tamponare una fuoriuscita troppo grande da controllare, ossia un contagio per inalazione e non per contatto.

"The Shield" cambierà definitivamente il modo di fumare con il Narghilè
“The Shield” cambierà definitivamente il modo di fumare con il Narghilè

Per far fronte definitivamente alla problematica diventata definitiva e non più transitoria, pertanto, nel 2013 è nata la società FB350 con l’unico scopo di trovare la soluzione definitiva alla contaminazione virale e batterica tra i fumatori di Narghilè. Un anno dopo, l’inaspettato parto: è nato “The Shield”, l’unico filtro antivirale ed antibatterico certificato e brevettato dalla società FB350, il quale presidente e fondatore è Fouad Bishay ed il CEO è l’italiano Alessio Lombardini, che è basato su un sistema di filtraggio del fumo, progettato e contenuto in appositi boccagli, sia personali che monouso, e che offre la massima efficienza con la resistenza più bassa di qualsiasi altra tecnologia disponibile sul mercato. È inoltre ideale per altre applicazioni mediche dove è previsto uno scambio di calore ed umidità, oltre che in ulteriori ambiti dove è richiesta un’elevata efficienza con resistenze minime ed in spazi limitati. Il filtro, oltre a proteggere attivamente il fumatore da virus e batteri, evita che quantità eccessive di monossido di carbonio, metalli pesanti e altri fattori cancerogeni vengano inalate direttamente nei polmoni. Tra questi, quello sicuramente di maggior impatto è il glicerolo, prodotto in grandi quantità dopo la combustione della carbonella ed il passaggio del fumo nella melassa aromatizzata, ed unito successivamente al vapore acqueo creato dal passaggio nel contenitore dell’acqua. La FB350 così, dopo aver ottenuto certificazioni ed approvazioni a livello internazionale, ha iniziato una vera e propria campagna di prevenzione e sensibilizzazione però totalmente ignorata dai governi, in particolar modo da quello egiziano ed italiano. Perché si, in Italia la moda del Narghilè, anche grazie all’aumento dei flussi migratori, sta prendendo sempre più piede soprattutto nelle grandi città come Milano, Napoli, Roma e Torino, dove il nascere di “bar Narghilè” è ormai un must del paesaggio urbano e socioculturale metropolitano. «Si può affermare che il problema del contagio è incrementato esponenzialmente nell’ultimo decennio, ovvero da quando la globalizzazione ha iniziato a correre a livello frenetico», ha dichiarato lo stesso Alessio, il quale ha ribadito il concetto della condivisione, con solo consolidato, ma diventato appunto una moda pericolosa. «È in questo contesto che nasce e si diffonde il problema, ovvero il maggior strumento di condivisione viene utilizzato in ambienti spesso malsani e senza controlli», specifica Alessio, annunciando come la mancanza di controllo tanto sanitario quanto fiscale, insieme alla questione del contagio, «stiano diventando irreversibili». Se pertanto nel solo Egitto sono stati calcolati al 2019 otto milioni e mezzo di fumatori che ogni giorno fumano dalle due alle tre volte il Narghilè, sta diventando fondamentale, a livello non solo locale, «alzare l’attenzione su quelli che sono i reali rischi nell’utilizzare il Narghilè sia per brevi che per lunghi periodi». Secondo Alessio, inoltre, se la soluzione dell’utilizzo di dispositivi monouso è stata inserita solo nel contesto delle fumate di melassa aromatica e non in quello delle fumate di tabacco puro, l’inutilità della faccenda è quindi facilmente riconducibile al solo concetto di non rovinare il gusto delle fumate aromatiche utilizzando diverse miscele; dall’altra parte, tenendo in contro la peculiarità del Narghilè, «il problema del contagio virale non è da ricercarsi nella contaminazione per contatto, bensì da quella per inalazione»: pertanto, secondo Alessio, «la soluzione va ricercata in un sistema attivo di prevenzione, ed i nostri studi hanno trovato la risposta dando alla luce il nostro sistema di filtraggio brevettato che attivamente, grazie alla nanotecnologia, abbatte la contaminazione virale e batterica riducendo notevolmente inoltre i livelli cancerogeni presenti nel fumo». Una manna dal cielo che inizia a prendere piede come lo strumento adatto al 100% per fermare la contaminazione: «Il Narghilè deve necessariamente fare uno step evolutivo, e noi siamo in grado di portare questo strumento ad un livello superiore in tutto il mondo», ha concluso Alessio.

Ed ecco ritornatici al punto di partenza: il capo della corte suprema del Cairo, infatti, sta valutando in modo positivo la causa per cui è necessario applicare un filtro antivirale ed antibatterico al Narghilè. Ma non solo: cerca l’approvazione anche da parte degli enti Italiani per il passo successivo, ossia l’emanazione di una legge che obbliga l’applicazione del filtro ad ogni fumata. Come direbbe Neil Armstrong 50 anni dopo, “un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”. Il Neil Armstrong del ’69 sembra aver definitivamente passato lo scettro ad Alessio Lombardini del 2019, con qualche “piccola fumata” in meno e qualche “grande filtro” in più per la salute umana.

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