L’EDITOREEL: Reality e GF, ma è meglio soli o male accompagnati?
Mettendo a confronto tra loro diverse esperimenti sociali travestiti da reality, mi sono chiesta se in certi contesti, è meglio stare soli o male accompagnati?
Era il 16 settembre 1999 quando in Olanda andava in onda la prima puntata del Grande Fratello che tutti conosciamo. Pochi sanno che un format simile era stato lanciato anche in Giappone. Qui il concorrente era solo uno, costretto a vivere in una stanza minuscola per 15 mesi completamente nudo con ciò che riusciva a riscattare dai coupon spediti per posta.
Circondato da telecamere e monitorato 24h su 24, l’uomo era convinto che solo un estratto delle registrazioni sarebbe poi andato in onda in seguito. Invece, a sua insaputa, dietro agli obiettivi c’erano ogni giorno in tempo reale milioni di telespettatori e sponsor entusiasti.
Hamatsu, questo il nome del protagonista, ha dichiarato che la parte più difficile del reality è stata la solitudine, e non la mancanza di vestiti e cibo, anche se hanno avuto un forte impatto negativo su di lui. Il vecchio reality è tornato alla ribalta grazie ad un docu film, ancora non disponibile in Italia, che solleva seri interrogativi su quanto lontano possa spingersi la società per avere successo nel mondo dello spettacolo e sul potere del denaro. Quesiti che ho trovato anche nella serie coreana “The 8 Show”, appena approdata su Netflix.
Ma mettendo a confronto i vari format mi sono posta un’altra domanda: In certi contesti, è meglio stare soli o male accompagnati?