L’Armata Brancaleone e Gabriele Mainetti a confronto a Bolsena
Cosa lega Gabriele Mainetti, regista di “Lo chiamavano Jeeg Robot” e di “Freaks Out”, ad un classico come “L’Armata Brancaleone” di Mario Monicelli? Se ne è parlato al Multisala Moderno di Bolsena, un cinema che ha da poco compiuto 25 anni di vita, nell’ambito dell’iniziativa I CINEMA: “SALE” DELLA VITA, realizzata dall’Agis con il sostegno della Regione Lazio e in collaborazione con Associazione Nazionale Esercenti Cinema del Lazio.
L’iniziativa si pone l’obiettivo di far rivivere le sale cinematografiche come luogo di scambio attivo di passioni e condivisione di emozioni e conoscenza, attraverso un modello di proiezioni e incontri con significativi personaggi del nostro cinema nazionale.
Quello di Bolsena è stato un incontro volto ad approfondire discendenze, complicità, ma anche elementi di rottura fra il cinema italiano di ieri e di oggi, attraverso l’analisi di un capolavoro quale “L’Armata Brancaleone”, proiettato al termine del dibattito condotto da Franco Montini.
Il film di Monicelli risale al 1966 ed ha avuto sin dall’inizio un enorme successo di pubblico e di critica. Come spiega Montini “per diversi motivi, a cominciare dall’ambientazione medioevale e dall’uso di una lingua inventata, L’armata Brancaleone prendeva spunto da una serie di atmosfere, temi, costumi che svariavano dalla tradizione del cinema autarchico di cappa e spada ai grandi esempi internazionali. Basti pensare al trucco e all’armatura del protagonista, Brancaleone da Norcia (Vittorio Gassman), che rimandava a La sfida del samurai di Kurosawa. In poche parole, L’armata Brancaleone era la dimostrazione che anche in Italia era possibile realizzare dei film diversi dal solito, sfidando le produzioni più spettacolari e popolari tipiche delle cinematografie maggiormente evolute.”
Ed è sulla linea di queste considerazioni che si innesta il ruolo di un regista come Mainetti, che ha dimostrato con i suoi due lungometraggi che anche in Italia si possono realizzare film capaci di competere con la spettacolarità hollywoodiana, mescolando azione e commedia. In fondo sia il protagonista del primo film di Mainetti che il quartetto dei personaggi principali di Freaks Out rimandano in qualche modo alle varie, storiche figure che negli anni d’oro della commedia all’italiana hanno segnato il nostro cinema: dagli sbandati di Brancaleone, ai ladruncoli improvvisati de “I Soliti Ignoti”, ai meravigliosi Sordi e Gassman antieroi de “La grande guerra”.
“Bisogna reinventare per essere cinematografici”, afferma Mainetti. A partire dalla lingua inventata di Brancaleone, “per fare cose del genere bisogna avere cultura, non si può improvvisare. Questo linguaggio è una riprova di che geni fossero Age e Scarpelli”. Quelli erano tempi in cui in Italia si riusciva a fare un cinema di quel tipo e di quel livello, “oggi sembra che questa capacità si sia purtroppo un po’ persa, io spero che i registi più giovani possano riprendere quell’esperienza, ovviamente attualizzandola”.
Se ad oltre mezzo secolo di distanza il film di Monicelli – girato in gran parte nel viterbese – continua a divertire, tanto da aver introdotto nell’uso comune alcune espressioni a partire dal titolo stesso o altre fortunate locuzioni quali “in fila longobarda” (“in fila indiana” sarebbe stato anacronistico!), è per una serie di qualità che lo rendono un classico che resiste alla prova del tempo. E come ogni film risorge a nuova vita ad ogni visione. Del resto, sostiene Mainetti, “un film cambia ogni volta che viene mostrato al pubblico, non finisce con l’ultimo giorno di riprese. Si dice che un film si scrive, ma poi si riscrive quando lo si dirige, e lo si riscrive quando lo si monta. Ma secondo me lo si riscrive ogni volta anche quando lo si musica, lo si missa, e lo si proietta in sala al pubblico. Ed è anche per questo motivo che nei miei lavori tendo a controllare il più possibile le varie fasi della realizzazione, non limitandomi alla fase delle riprese. Per Jeeg Robot sono stato maniaco fino al singolo fotogramma, con Freaks Out mi sono un po’ più contenuto. Però sul set chiedo sempre a tutti di contribuire e di darmi qualcosa di più, di sorprendermi. Lavoro tantissimo con gli attori, non mi limito a rispettare la sceneggiatura alla virgola, altrimenti… mi annoio.”