IODIPIU’, ROMANZO D’ESORDIO PER ROMOLO BIANCO

Nato a Napoli nel 1983, attore e cantante, Romolo Bianco esordisce giovanissimo con Mario Scarpetta, dedicandosi al teatro di tradizione popolare e allo studio delle canzoni classiche napoletane. 

Nel 2005 inizia a collaborare con Peppe Lanzetta, portando in scena diversi spettacoli tra i quali “Ricordo di Domenico Rea”, “Unicum per Pomigliano”, “Medea Napoli”, “L’opera di periferia”. Nel 2010 partecipa allo spettacolo “Blackout”, di Andrea Manzi, con Mariano Rigillo. Scrive e reinterpreta in chiave postmoderna la maschera di Pulcinella attraverso le farse come “Buona sera per tutte le sere”, “Prendetelo, questo pazzo è vostro” e “L’Italia è tutta una farsa”.

Ha curato una rubrica per il quotidiano Roma sulla canzone classica napoletana e ha al suo attivo un album, “Always by Napoli”, distribuito in Italia, Germania e Stati Uniti. Esordisce come scrittore con il romanzo “Iodipiù” (Tullio Pironti Editore), Premio “Letizia Isaia” 2016. La storia è ambientata nella periferia orientale di Napoli (ma può essere qualunque periferia del mondo), a Casoria, dove vive una famiglia piccolo borghese che suda per tirare avanti: Don Mario vende tappeti al mercato. I suoi sogni sono morti da anni e conduce una vita assente, non sua, marito e padre inesistente che ha rinunciato a un qualsivoglia ruolo.

IODIPIU’, ROMANZO D’ESORDIO PER ROMOLO BIANCOLucia, la moglie, è una donna autoritaria, abituata a comandare, apparentemente la forte di casa che domina le figlie Anna e Marta. Anna è sensibile, più affine al padre che, solo lei, sa leggere; è innamorata da sempre di Lino, odiato dalla madre perché non ha un posto fisso e non è adeguato alla figlia. Marta è laureanda in Medicina, un gradino sociale e affettivo in più per la madre che da ragazza sognava di laurearsi in Lettere e Filosofia, sognava il lusso, finché non rimase incinta e si sposò in fretta con Mario, “un ragazzo di paese rozzo, ignorante e un po’ bruttino”. Anna ha un’amica cara, Carmen, l’unica che sappia comprenderla e sostenerla. Le vite dei protagonisti sono tutt’uno con il tessuto sociale, teatro di ipocrisie e frustrazioni, di sogni spezzati, di vite ai margini per chi sa di non avere diritto a un futuro diverso. L’amore di Don Mario per Alberto-Berta, un trans della Ferrovia, il personaggio più tenero e poetico del libro, è liberatorio e alla fine devastante.

La rottura di equilibri e felicità impossibili aleggia in tutto il romanzo, ben scritto, forte da far sentire odori, colori spenti, squallori della periferia che inghiotte come un buco nero. Peppe Lanzetta, maestro di stile e contenuti che sa raccontare come nessun altro il “Bronx napoletano” e le vite perdute di periferia, sottolinea nella Prefazione al libro la delicatezza di Bianco nel muovere i suoi personaggi, “forse già sepolti sotto la cenere e i lapilli dei Vesuvi della vita.  Ragazze, sogni, promesse, noie, vite liquide e vite liquidate dalla vita stessa, caldo su caldo e sogni di vacanze naufragate nella spazzatura dell’esistenza”. La scrittura può far male e, di sicuro, quella di Bianco colpisce, fa vivere emozioni forti, senza sconti, senza ipocrisie, intreccia eros e thanatos. La storia alla fine offre l’occasione di farcela solo ad un personaggio, Carmen, perché la vita è così e l’happy end appartiene alle fiabe e ai film di Hollywood di una volta, di certo non ai figli di un Bronx minore.

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