Confessione a teatro
di Anita Laudando
“Il Confessore” dal 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’Impegno contro la mafia, al 23 marzo 2014, regala riflessioni agli spettatori del Théâtre De Poche di Napoli. Presentato da Virus Teatrali e Prima Quinta, Giovanni Meola firma testo e regia, la scena è allestita da Annalisa Ciaramella, Aldo Rapè è l’unico attore.
“Tu com’è che fai il giornalista se sai parlare solo il napoletano?” L’intervista-confessione ad un parroco di periferia è una mistura di linguaggi, paure, vissuti e speranze.
Il monologo si apre con una preghiera che letteralmente esplode, la domanda di fondo è se amore, perdono e carità siano solo parole o profondo sentire di un uomo qualunque che sceglie di “non giudicare il male”, che sa di non essere un martire, ma sa anche di non essere come chi “scansa, indifferente, la puzza della morte”.
La storia, retta da eventi e stati d’animo, sostenuti con pienezza emotiva, basta a se stessa.
Testo e interprete, arrivano diritti alla coscienza di chi ascolta, pertanto, la cassettiera frammentata sulla scena, e altra piccola attrezzeria, risultano superflui. Anche il napoletano parlato dall’attore siciliano, risulta forzato. Sarebbe bastata solo qualche breve battuta in vernacolo, lasciando intatta la musicalità dell’interpretazione e della drammaturgia.
Resta intenso l’impegno civile, lo sforzo di comprendere, la voglia di ascoltare di un’ umanità che, con o senza religiosità, rappresenta la solitudine di coloro che restano lucidi per combattere la battaglia della giustizia, senza ipocrisia o patetici eroismi.
Dalla platea si sente il profumo della Sicilia. Con le mani giunte si raccoglie il dolore di un uomo di chiesa, del bambino che, anche da adulto, vuol bene ai suoi compagni di infanzia, oggi suoi assassini, “come ci si vuol bene da bambini, quel bene sottopelle che non finisce mai”.
Motivazioni concrete, non ideologiche. Ritmo e leggerezza per un argomento che facilmente potrebbe scadere in retorica. Non accade in questa messa in scena, perché pregna del pensiero autentico di veri artisti del teatro.