Coldiretti: Alta Irpinia diventa buona pratica UE

L’organo di controllo dell’Unione Europea, accompagnato dall’assessore Chiara Marciani, ha potuto verificare sul campo l’attuazione di una delle azioni previste. Le azioni complementari realizzate sono: un piano di promozione e comunicazione delle attività, l’erogazione di servizi di sostegno all’occupabilità femminile (Concilia Point) e l’erogazione di buoni-servizio per l’acquisto di posti in servizi di cura socio-educativi rivolti a bambini di età compresa tra 0-12 anni.

Mentre il Ministero delle Politiche Agricole chiarisce in un decreto i requisiti minimi per definire le attività di agricoltura sociale, Coldiretti Campania annuncia il riconoscimento di un progetto realizzato in Alta Irpinia come “buona pratica UE”. Il comitato di sorveglianza della Regione Campania, organismo composto da stakeholders pubblici e privati che monitorano l’attuazione delle misure dei fondi comunitari, ha citato nella relazione annuale il progetto “Accordi territoriali di genere – Lavoro alle Donne dell’Alta Irpinia” – con capofila Coldiretti Avellino – come esempio virtuoso nell’utilizzo dei fondi europei, assi 1 e 2. L’organo di controllo dell’Unione Europea, accompagnato dall’assessore Chiara Marciani, ha potuto verificare sul campo l’attuazione di una delle azioni previste. Le azioni complementari realizzate sono: un piano di promozione e comunicazione delle attività, l’erogazione di servizi di sostegno all’occupabilità femminile (Concilia Point) e l’erogazione di buoni-servizio per l’acquisto di posti in servizi di cura socio-educativi rivolti a bambini di età compresa tra 0-12 anni. Nel caso specifico, Coldiretti Avellino ha allestito i concilia point presso gli uffici territoriali e i mercati di Campagna Amica, mentre i servizi per i minori sono stati erogati in aziende agrituristiche.

Sul piano generale – sottolinea Coldiretti Campania – arriva finalmente dopo quattro anni un chiarimento sui servizi sociali erogabili dalle imprese agricole, in attuazione della legge 141 del 2015 sull’agricoltura sociale, che ha definito i contorni del welfare rurale. Un fenomeno che in pochi anni ha visto un interesse crescente da parte delle imprese agricole italiane, culminato con la nascita della rete dell’agricoltura sociale di Campagna Amica. Secondo il decreto del Ministero delle Politiche agricole si è quindi soggetti di agricoltura sociale quando si accolgono ed impiegano attraverso percorsi stabili di inclusione socio-lavorativa dei soggetti mediante l’utilizzo delle tipologie contrattuali riconosciute dalla normativa vigente. In particolare, le aziende agricole in forma singola o associata e le cooperative sociali il cui reddito da attività agricola debba essere superiore al 30% del totale possono essere riconosciute come soggetti che erogano servizi di agricoltura sociale.

Tra gli utenti di tali servizi si considerano i lavoratori con disabilità e svantaggiati e i minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale; inoltre sono servizi di agricoltura sociale anche le prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana.

Anche le prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati che possono prevedere l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante, si possono considerare attività di agricoltura sociale.

Sono riconosciuti tali anche i progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.

Anche l’aspetto relativo al numero di utenti è stato chiarito. Infatti per aziende che hanno fino a 15 addetti è possibile impiegare 1 utente. Tra le 16 e le 20 unità è possibile impiegare fino a 2 soggetti mentre per aziende con un numero più elevato di dipendenti deve essere rispettato il parametro del 10% massimo di utenti di agricoltura sociale. Le prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali possono essere realizzate anche attraverso forme di inserimento indiretto, quali tirocini, borse lavoro, attività formative, orientamento per le categorie svantaggiate o altre modalità disciplinate dalla normativa vigente. Inoltre fanno parte delle attività di agricoltura sociale anche quelle che si tengono a distanza dal fondo agricolo ma inerenti l’attività aziendale. Pensiamo ad esempio all’attività di vendita diretta.

Per la “bontà” del servizio erogato è richiesta la presenza di figure professionali preposte all’erogazione di tali servizi. La presenza delle figure professionali potrà essere dimostrata mediante collaborazioni o convenzioni. Tali requisiti possono essere assolti anche attraverso la stipula di accordi di collaborazione. Pensiamo ad esempio all’utilizzo di animali negli interventi assistiti per migliorare le condizioni di salute, le funzioni sociali, emotive e cognitive delle persone coinvolte.

Anche gli orti sociali, condotti da soggetti riconosciuti per l’erogazione di servizi di agricoltura sociale trovano spazio nel decreto. Inoltre vengono ulteriormente riconosciuti gli agriasilo. La regolamentazione delle fattorie didattiche invece viene demandata alle normative regionali. Infine un articolo del decreto si preoccupa di definire le strutture in cui viene svolta l’attività sottolineando come debbano essere adempiuti tutti gli obblighi di legge per l’accoglienza, la somministrazione di cibo e bevande demandando, anche qui, alcuni aspetti alle norme regionali.

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