Certe “giustizie” fanno giri immensi e poi ritornano
Dopo anni in cui Ilaria Cucchi e la sua famiglia non hanno mai nascosto la delusione per l’atteggiamento di omertà nell’Arma dei carabinieri nei confronti della morte di Stefano, il gesto di vicinanza è finalmente arrivato.
“Cosa aspetti? Entra e non perderti neanche una parola”. Così cantava Antonello Venditti in una delle sue più celebri canzoni. Ma stavolta, l’invito, è diretto a tutti gli italiani che hanno assistito per quasi dieci anni al Processo Cucchi e hanno sperato che la “verità morale” combaciasse con la “verità processuale”, in un’aula processuale che per troppo tempo ha respirato depistaggi e menzogne. Quel giorno finalmente è arrivato: Stefano Cucchi fu picchiato. Fu preso a calci e pugni in faccia. La notte del suo arresto, il 15 ottobre del 2009, nella caserma Casilina, i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro lo aggredirono, pestandolo violentemente.
«Chiedo scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria, imputati al primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile». Parole di Francesco Tedesco, uno dei tre imputati per omicidio preterintenzionale che ha esposto la sua testimonianza all’inizio del suo interrogatorio. Incalzato dalle domande, il carabiniere ha raccontato cosa è Veffettivamente successo quella notte, giungendo ad una ricostruzione che non fa più acqua da nessuna parte: ‹‹Al foto-segnalamento Cucchi si è rifiutato di farsi prendere le impronte: siamo usciti dalla stanza e il battibecco con Di Bernardo e D’Alessandro è proseguito, fino a far volare calci e pugni che hanno fatto cadere in terra il giovane››. Ed è a questo punto che Tedesco sarebbe intervenuto per fermarli, aiutando Stefano a rialzarsi mentre lui diceva di stare bene perché pugile. «Se non fossi intervenuto, allontanandoli da Stefano›› secondo la sua confessione ai giudici, ‹‹i due colleghi avrebbero proseguito››. Tedesco nel suo racconto lascia spazi ad innumerevoli dettagli sul comportamento dei suoi colleghi, seppur ammettendo che ‹‹non è stato facile›› accusarli. Ancora di più per le raccomandazioni arrivate dal suo superiore, il maresciallo capo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante pro tempore della Stazione Appia: ‹‹Mandorlini mi minacciò e mi disse che avrei dovuto seguire la linea dell’Arma se volevo continuare a fare il carabiniere››. Una risposta che lo ha ‹‹letteralmente terrorizzato› e portato a tenersi dentro un peso troppo grande per così troppo tempo: ‹‹Ero solo contro un muro. Avevo paura›› riferisce in aula Tedesco, accompagnato dall’ausilio dell’avvocato Eugenio Pini, il quale ha anche esso commentato che questa si può considerare la ‹‹vittoria umana di una persona che per anni ha cercato di poter raccontare i fatti ma le pressioni subite glielo hanno impedito››. Lo stesso ha poi successivamente aggiunto: ‹‹Da ora ci si deve ricordare e tenere ben presente che quando si parla del famoso muro di gomma, bisogna riferirlo non solo alle persone che dall’esterno hanno cercato di conoscere la verità, ma anche a chi, da dentro, ha cercato di raccontarla››.
Dopo anni in cui Ilaria Cucchi e la sua famiglia non hanno mai nascosto la delusione per l’atteggiamento di omertà nell’Arma dei carabinieri nei confronti della morte di Stefano, il gesto di vicinanza è finalmente arrivato. La massima carica dei Carabinieri, il comandante generale Giovanni Nistri, fa cadere il muro di silenzio, e lo fa attraverso una missiva, datata 11 marzo e consegnata ai familiari del ragazzo proprio a pochi giorni dalla probabile richiesta di rinvio a giudizio per otto militari: ‹‹I depistaggi operati negli anni vengono rifiutati come una macchia sull’onore dell’Arma. Speriamo che ogni singola responsabilità nella tragica fine di una giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria››. Parole chiare con le quali il numero uno dei carabinieri annuncia che soffre nel ‹‹pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili››, e che l’Arma si costituirà parte civile nel processo a carico dei carabinieri imputati e che verranno adottati ‹‹i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà››.
In questo gioco ad incastro, anche la politica dice la sua e riconosce che finalmente si è arrivati a squarciare il velo di maya sulla morte di Stefano: ‹‹La verità grazie al coraggio della famiglia Cucchi e al percorso della giustizia sta finalmente emergendo››, twitta il segretario del Pd e presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. La lettera ‹‹umana e autorevole››, del comandante Nistri, scrive invece il vicepremier Luigi Di Maio, rappresenta «una condotta esemplare da parte di un vero uomo delle istituzioni, che non ha mai cercato consensi, né notorietà». È convinto che la lettera e la costituzione dell’Arma come parte civile nel processo siano ‹‹un passaggio molto importante perché rafforza le istituzioni›› anche il presidente della Camera Roberto Fico, fiducioso che ‹‹sul caso Cucchi si arrivi finalmente alla verità››. Si è infine pronunciato anche il premier Giuseppe Conte, a margine di un evento alla Triennale di Milano, affermando che ‹‹il Governo è ben favorevole alla costituzione di parte civile in giudizio dell’amministrazione della Difesa››.
Appoggio politico che Ilaria Cucchi non ricevette 3 anni fa, il 4 gennaio 2016, dal leader della Lega Matteo Salvini durante un suo intervento al programma La Zanzara su Radio 24: ‹‹La sorella di Cucchi si deve vergognare. Io sto sempre e comunque con polizia e carabinieri››. Parole che risuonano nel tempo, e che ritornano prepotenti a farsi più che mai presenti negli incubi del vicepremier dopo le dichiarazioni di Tedesco: ‹‹Se mi aspetto le scuse di Salvini? Delle scuse di Salvini non me ne faccio proprio niente, non mi interessano, non ci penso nemmeno›› ha infatti commentato Ilaria, suggerendo al ministro dell’intero di ‹‹cambiar disco e approfondire le cose prima di parlare››. Soltanto alla fine della deposizione di Tedesco, la stessa Ilaria non è riuscita a nascondere la sua soddisfazione, perché ‹‹dopo dieci anni di menzogne e depistaggi in quest’aula è entrata la verità raccontata dalla viva voce di chi era presente quel giorno››. «Il fatto che non siamo più soli» non copre comunque il vuoto devastante della famiglia Cucchi nell’ascoltare il racconto di come è stato massacrato Stefano, ‹‹ma a questo punto quanto accaduto a mio fratello non si potrà mai più negare››.
“Certi amori fanno giri immensi e poi ritornano” cantava sempre Venditti, ma l’amore descritto è quello di una sorella che si è guadagnata la propria vittoria. Chissà se Stefano ora può risposare in pace. Chissà se ora la sua verità sta davvero ritornando a quell’amore chiamato giustizia, dopo troppi giri immensi.