Antonio Di Cristofano chiude Piano Solo Festival Salerno
La decima edizione del Festival Pianistico Internazionale Piano Solo, promosso dai pianisti Paolo Francese e Sara Cianciullo, ospite del Comune di Salerno, con la collaborazione di Santarpino Pianoforti e Pisano Ascensori, si concluderà venerdì 18 marzo, nell’abituale cornice del Salone dei Marmi del palazzo di Città.
A sigillo di un cartellone che ha visto assidersi al gran coda solisti del calibro di Sophia Vaillant, Andrea Bacchetti, Johanna Trzeciak, i giovanissimi virtuosi Xin Wang & Florian Koltun, i riflettori di Piano Solo si accenderanno, sul pianista grossetano Antonio Di Cristofano. La serata principierà alle ore 19,30 con l’esecuzione delle quattro ballate op.10 di Johannes Brahms, composte tra il 1854 e il 1856, ispirate ad una ballata scozzese di Edward, che racconta la storia di un ragazzo che, istigato dalla madre, uccide il padre. Brahms conobbe il testo nella traduzione tedesca di Herder, il vate della ricerca romantica sul popolare. Nacque così una raccolta, che prova a tradurre in musica i toni gotici della vicenda, cercando di dare varie declinazioni al dialogo tra i due personaggi. La Prima Ballata è quella che rende al meglio questo faticoso incontro verbale: da una parte il tono interrogativo della madre, dall’altra la decisione rassegnata del figlio, con il suo corale austero e determinato. La Seconda Ballata si inserisce bene in quel solco leggendario, che emerge così spesso dalle Sonate: nel tessuto melodico appare per la prima volta il tema F.A.F. (frei aber froh, ovvero ‘libero ma felice’) con cui Brahms rispondeva ogni tanto al motto coniato da Joachim (frei aber einsam, ovvero ‘libero ma solo’). La Terza Ballata, sottotitolata Intermezzo, ricorda il carattere dello Scherzo: scariche elettriche alternate a un Trio lirico, secondo il consueto schema dialettico del brano. Mentre la Quarta Ballata chiude il ciclo anticipando la cantabilità semplice e commo vente dell’ultimo periodo. Si passerà, quindi, alFryderyk Chopin della Polacca-Fantasia in La bemolle op.61 datata 1846, che presenta interamente, e non solo più episodicamente, il carattere di una visione. La forma è così minutamente articolata e così sfuggente da aver suscitato forti perplessità nei primi critici musicali, ivi compreso Franz Liszt, che solo trent’anni più tardi si accorse di aver mal compreso la genialità costruttiva di una delle ultime grandi creazioni di Chopin. L’introduzione è malinconica e sognante e la nostalgia sembra essere la cifra dell’intero lavoro, ma associata, come spesso avviene nelle opere di Chopin che richiamano la patria, a momenti di eroica determinazione. Omaggio a Franz Liszt con La Vallée d’Obermann, dal Première Année de pèlegrinage, 1848-1855, ispirata al romanzo di Pivert de Senancour. La valle è simbolica, è la vita e Liszt parte con un inizio che comunica il suo male di vivere, prima di passare dalla disperazione alla lotta, sino alla speranza rappresentata dallo splendore di un grande e potentissimo arpeggio di Mi che riprende con un urlo, invece che in pianto, l’inizio della composizione. Il brano caratterizzante la serata sarà la Sonata op.1 di Alban Berg, datata 1910. La sonata di Berg ha i suoi modelli nel Quartetto op. 7 e soprattutto nella Kammersymphonie op. 9 di Schönberg. L’uso che viene fatto di temi e armonie basati sull’intervallo di quarta deriva chiaramente da analoghi procedimenti della Kammersymphonie: ciononostante la complessità dell’armonia si arresta alle soglie della rottura della tonalità, emblematicamente rappresentata dai due diesis posti in chiave all’inizio e mantenuti per tutto il pezzo fino alla conclusione in si minore. Il segno di ritornello alla fine dell’esposizione è un’altra indicazione del legame con la tradizione: simbolo di un ricordo del passato del quale la musica di Berg non si dimentica neppure nei momenti più audaci e innovativi. Finale affidato alla Sonata-Fantasia op.19 in Sol diesis minore, composta da Aleksandr Skrjabin tra il 1892 e il 1898, due movimenti collegati, costruzione saldissima pur nella vaghezza del primo movimento che l’autore dice ispirato alla “tranquillità d’una notte meridionale sulle rive del mare”, con lo sviluppo che rappresenta “la scura agitazione del mare profondo, profondo” ma la cui sezione mediana in modo maggiore evoca “il carezzevole chiaro di luna che si leva nella iniziale oscurità della notte”. Il secondo movimento, è ispirato alla “vasta distesa dell’oceano sconvolto dalla tempesta”, pagina che segna il nuovo, il vero Skrjabin simbolista.