AFGHANISTAN: CONVEGNO AD ARICCIA SU UNA TRAGEDIA INVISIBILE
“Afghanistan: situazione sotto controllo?” è la domanda alla quale si è cercato di rispondere a Palazzo Chigi di Ariccia durante il convegno organizzato e moderato da Maria Clara Mussa (Direttrice di Cybernaua InformAction Magazine) insieme all’ANPd’I Colline Romane.
“Afghanistan: situazione sotto controllo?” è il titolo del convegno che si è tenuto ad Ariccia, a Palazzo Chigi, organizzato e moderato da Maria Clara Mussa, Direttrice di Cybernaua InformAction Magazine, e presieduto dal par. Gilberto Montebello, Presidente di ANPd’I Colline Romane (associazione co-organizzatrice dell’evento), che ha ricordato il forte legame che unisce l’ANPd’I con l’Afghanistan: una terra dove l’Italia è stata presente per vent’anni in qualità di membro della coalizione, pagando l’alto prezzo di 53 caduti e 723 feriti.
Una tragedia invisibile
Numerosi e prestigiosi i relatori intervenuti, ciascuno dei quali ha condiviso la propria esperienza e la propria visione sulla drammatica situazione dell’Afghanistan, un paese che dopo anni di guerra ed occupazione si è visto abbandonato dall’occidente e vive oggi, dopo un passato terribile, un presente ancora più difficile sotto il dominio dei Taliban: un presente fatto di povertà, dittatura, e totale mancanza dei diritti fondamentali alla libertà, all’istruzione, alla sicurezza. “Un paese che tiene segregata e priva di diritti metà della sua popolazione, quella femminile, dovrebbe essere tutti i giorni sulle prime pagine. Invece da noi si parla solo di due guerre, ignorando le altre sessanta in giro per il mondo“. E’ con questa amara considerazione della dottoressa Flavia Mariani, responsabile per la comunicazione di Nove Onlus, un’associazione attiva dal 2013 sul territorio afghano per proteggere e migliorare le condizioni di vita di donne e minori, che si potrebbe sintetizzare la descrizione dell’assordante silenzio con cui l’Occidente tiene sotto il tappeto una tragedia invisibile ai più e che va avanti da anni.
Come ricordato in un appassionato intervento in lingua della giornalista attivista Rabia Alizada, ad agosto saranno tre anni di governo talebano: un regime che non dà speranza a giovani e donne, come i molti suicidi dimostrano. “Un danno enorme sul piano materiale e morale visto che istruzione e lavoro sono chimere per tutti, non solo donne e bambini ma anche uomini. Questo genera migrazioni forzate, perché il Paese non è sicuro e non c’è libertà. Il mondo dovrebbe impegnarsi per dare alla popolazione afghana i tre diritti fondamentali: libertà, istruzione, lavoro; per fermare i rapimenti di bambini, per impedire i matrimoni forzati, e gli omicidi degli attivisti“.
L’inganno dell’Occidente
Il tema della mancata visibilità del dramma afghano è stato anche affrontato nell’appassionato intervento di S.A.R. Principessa Soraya Malek, nipote del Re Amanullah Khan, sovrano dell’Afghanistan dal 1919 al 1929 poi esiliato in Italia (nella villa sulla via Nomentana dove oggi ha sede l’Ambasciata), padre della prima costituzione afghana e grande modernizzatore del Paese (la Costituzione garantiva l’eguaglianza dei diritti a tutti i cittadini del paese senza distinzione di sesso). “Nel 2001 gli Stati Uniti si sono presentati dicendo di portare libertà e democrazia. Ma in realtà hanno portato bombe e devastazione. Glie l’ho detto, agli americani: vi abbiamo accolto a braccia aperte, e siete andati via come dei rubagalline – ha raccontato – . Ora il focus del mondo dell’informazione è sul regime dei Taliban, ed è giusto; ma non si parla mai del comportamento dell’Occidente. L’Italia in Afghanistan ha speso sinora 8,7 miliardi di Euro: di questi, solo 400 milioni sono finiti alla società civile, tutto il resto è stato speso in armamenti. La verità è che siamo stati tutti manipolati dagli USA. Ci chiediamo se l’Afghanistan è sotto controllo? Certo che lo è: è sotto il controllo dei servizi segreti degli USA e del Regno Unito“.
La conferenza di Doha
Non meno sentito è stato l’intervento di S.E. Khaled Ahmad Zekriya, Ambasciatore della Repubblica Islamica di Afghanistan: “Credo che bisognerebbe riformulare la domanda: riuscirà il nostro Paese a sopravvivere agli attuali disordini? Ritengo di sì, ma solo con l’aiuto dei grandi paesi democratici dell’occidente, dell’ONU, ma anche della società civile e degli attivisti. La situazione è molto complessa e gli scenari possibili sono diversi. A fine giugno si terrà a Doha, in Qatar, la terza conferenza delle Nazioni Unite sull’Afghanistan; i Taliban hanno chiesto di partecipare, e di essere cancellati dalle black list dei vari paesi. Il mio timore è che l’incontro di Doha avvicini i Taliban al riconoscimento diplomatico, nonostante le loro continue oppressioni e discriminazioni verso le donne, la libertà e la sicurezza: questa è una cosa per noi inaccettabile e non negoziabile, e sarebbe un tradimento verso la società civile afghana“.
Il possibile futuro
L’intervento di Zekriya ha poi posto l’accento sulle molte frammentazioni che si sono verificate tra i vari gruppi Taliban, e questo rende la situazione complessa e difficile da capire. Uno dei possibili futuri scenari potrebbe essere quello della rimozione, più o meno spontanea, del supremo leader Taliban, seguita dal reinsediamento di un governo del presidente Ashraf Ghani (che fu capo del governo dal 2014 al 2021, fino alla presa di potere dei Taliban); uno sbocco che potrebbe causare una sanguinosa guerra civile. Un’altra opzione di cui si parla vedrebbe addirittura il restauro della Monarchia, con un governo effettivo e, come monarca simbolico, il pronipote di Amanullah Khan; Zekriya ritiene però questo scenario sia “poco probabile, perché gli USA storicamente sono contro le monarchie. Inoltre, se lo lasciassero accadere in Afghanistan poi il prossimo sarebbe l’Iran“.
L’opinione dell’Ambasciatore è che si dovrebbe puntare ad una conferenza, prevista per il prossimo ottobre, tra donne afghane, attivisti, giovani, società civile ed esperti, per trovare una soluzione equilibrata e democratica che tracci un progetto condiviso su come avviare l’Afghanistan su un percorso di libertà e democrazia: “Gli afghani si sentono abbandonati, sono stanchi di tutti questi vecchi leader politici, dei signori della guerra… C’è bisogno di nuovi volti, del contributo della nuova generazione“.
I drammi della sanità e dell’istruzione
Come ha ricordato il dottor Mohamed Idrees Jamali, mediatore interculturale e vicepresidente dell’Associazione Nazionale della Comunità Afghana in Italia, il regime talebano ha mantenuto chiuse le scuole e le università “per mille giorni: perché anche i Taliban sanno che la formazione e l’istruzione sono fondamentali. Comprendere il funzionamento della civiltà ed i suoi problemi sociali ed economici è essenziale, e lo si può fare solo grazie all’istruzione“. Negli ultimi anni quasi quattromila tra insegnanti e professori hanno lasciato l’Afghanistan, e la situazione della sanità non è certo migliore: “In Afghanistan ci sono 34 province – è stato ricordato dall’Ambasciatore – e prima in ciascuna c’era un medico a rappresentare il ministero della sanità. Adesso invece ci sono 34 religiosi. Non c’è un vero sistema sanitario pubblico, ed uno Stato che non offre servizi ai suoi cittadini non è uno Stato“.
Una voce di speranza
Che fare, quindi? Lottare ed impegnarsi per far sì che il mondo sia il più informato possibile su quanto accade in Afghanistan è essenziale, e questa battaglia deve accompagnarsi agli sforzi sul territorio di tutte le forze coinvolte: politiche, militari, diplomatiche, delle associazioni – come i tanti progetti di Nove, ricordati dalla dott.ssa Susanna Fioretti – e degli attivisti. Una nota di speranza è venuta dalla voce di Andrea Angeli, per trent’anni portavoce ONU ed UE, che ha operato in Cile, Cambogia, ex Jugoslavia ed Afghanistan (qui anche come consulente politico del capo missione a Kabul): “Mi verrebbe da dire che l’Afghanistan è a rischio Cambogia, che a suo tempo fu definito un paese fantasma. Ma vorrei non dover usare questo termine, e guardare invece con fiducia alla diffusa volontà dei tanti che hanno esperienza e conoscenze, e sono pronti e disposti a dare una mano, uniti dall’amore e dalla passione che tutti noi nutriamo per l’Afghanistan“.