Giovanni Impastato ricorda il fratello Peppino nella sua casa museo

Tra i tantissimi luoghi della Sicilia che meritano una visita, non si può non menzionare la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, il giornalista ucciso dalla mafia nel 1978 e la cui vicenda è ben raccontata dallo splendido film “I cento passi”, diretto nel 2000 da Marco Tullio Giordana.

I cento passi del titolo sono la distanza tra la casa della famiglia Impastato (che si trova a Cinisi, non lontano da Palermo) e quella del boss Gaetano Badalamenti, che è stato poi condannato all’ergastolo proprio per l’omicidio di Peppino Impastato.La Casa Memoria è nata nel 2005, poco dopo la scomparsa di Felicia Bartolotta, madre di Peppino nonché di Giuseppe Impastato. Oggi non è raro trovare Giuseppe ad accogliere i visitatori all’ingresso dell’abitazione, pronto a raccontare l’importanza ed il valore della memoria.

Giovanni Impastato ricorda il fratello Peppino nella sua casa museo

“Il film I Cento Passi è reale all’80%. La serie dedicata a nostra madre è più romanzata, ma si tratta di opere diverse destinate a due pubblici diversi”, ci racconta Giuseppe Impastato. “Ho collaborato alla serie, perché temevo che la vicenda venisse un po’ banalizzata, ma non è andata così. Sin da quando nostra madre è mancata, noi siamo andati avanti cercando di rispettare le sue volontà. E soprattutto dobbiamo dare un messaggio di fiducia e di speranza: noi quella mafia l’abbiamo sconfitta. Abbiamo pagato un prezzo altissimo – la morte di Peppino – ma abbiamo vinto quella battaglia rispettando i suoi valori, testimoniato oggi da questa casa museo, un presidio di democrazia. Tano Badalamenti, uno dei boss storici, che Peppino sbeffeggiava chiamandolo Tano Seduto, non c’è più; è stato riconosciuto mandante dell’omicidio di Peppino e condannato all’ergastolo. Oggi ci siamo noi, vi pare poco?”

 

 

Giovanni Impastato ricorda il fratello Peppino nella sua casa museo

Tra fotografie ed articoli di giornale, disegni e poesie, il visitatore può immergersi nella vita e nella storia di Peppino, ripercorrendone le tappe fino alla tragica conclusione, osservando gli spazi e gli ambienti domestici in cui si muoveva e respirando l’atmosfera di quegli anni e del suo quotidiano, grazie alla presenza di numerosi oggetti – la macchina da scrivere, le attrezzature radiofoniche – utilizzati da Impastato per le sue attività radiofoniche e di attivista.

 

 

“Peppino è riuscito a smuovere le coscienze grazie al suo impegno partendo dal basso, lavorando in questo contesto dominato dalla cultura mafiosa”, prosegue Giuseppe. “Dobbiamo fare tesoro non solo delle sue esperienze, ma anche di quelle delle persone che portano avanti una battaglia di civiltà e di democrazia. Purtroppo però non c’è soltanto questa mafia, ma ce ne sono tante altre, che bisogna sconfiggere. Perché questo è un mito da sfatare, quello della mafia invincibile. Invece con il lavoro, con l’impegno sociale, la cultura, la mafia si può sconfiggere. Se a livello nazionale la mafia non è stata sconfitta è perché non è un anti-Stato, nel senso di un’organizzazione che mira a distruggere lo Stato; invece è qualcosa che è dentro lo Stato, ci convive, lo inquina, e prospera grazie a questa simbiosi. Se la mafia appare invincibile, è perché c’è chi la rende invincibile.”

Giovanni Impastato ricorda il fratello Peppino nella sua casa museo

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