My name is Bond, CoronaBond

Sono oramai settimane che si sente parlare di Coronabond e dei nove Paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia, che chiedono la sua creazione per fronteggiare la crisi economica dovuta all’emergenza del Covid-19.

In una lettera congiunta da parte dei singoli capi di stato è chiesto di «riconoscere a gravità della situazione e la necessità di una ulteriore reazione per rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle migliori condizioni per una rapida ripartenza domani». Questo, ovviamente, richiede l’attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali, seguiti da una garanzia della solidarietà finanziaria nell’Eurozona, «garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia». Per quanto riguarda le risorse da mettere in campo, nella lettera si sottolinea anche che «i fondi raccolti saranno destinati a finanziare, in tutti gli Stati membri, i necessari investimenti nei sistemi sanitari e le politiche temporanee volte a proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale». Un messaggio comune, insomma, degno della situazione di emergenza in cui versa l’Europa e fermo nell’affrontare «questo shock unico», al fine di rafforzare l’Unione economica e monetaria e soprattutto dare «un fortissimo segnale ai nostri cittadini circa la cooperazione determinata e risoluta».

Ma andiamo per ordine: cosa sono effettivamente questi Coronabond? I Coronabond sono semplici obbligazioni: i Paesi emettono Titoli di stato e chiedono soldi in prestito per finanziare le loro attività. Questi sono di vari tipi: Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), della durata di 3, 6 e 12 mesi, oppure Certificati di Credito del Tesoro (CCT), della durata di 7 anni, o ancora Buoni del Tesoro Poliennali (BTP), della durata di 3, 5, 10, 15, 30 e 50 anni. Chi acquista queste obbligazioni, quali banche, società d’investimento, piccoli risparmiatori, otterrà un rimborso alle scadenze prestabilite e riceve un interesse annuo, che può essere basso o alto in base al rischio di default dell’economia nazionale, in percentuale ai soldi prestati. Questi bond in particolare sono emessi per far fronte alle spese legate alla diffusione dell’epidemia: quelle sanitarie, per finanziare spedali, medici, ricerca scientifica, acquisto di macchinari per la terapia intensiva e strumenti di protezione contro il contagio, e quelle per rilanciare l’economia, messa in ginocchio dalle misure restrittive che hanno ridotto le attività produttive, come la chiusura delle fabbriche o il rallentamento della viabilità aerea, marittima e stradale. Il tipo di Coronabond a cui alludono gli Stati membri europei, tuttavia, ha a che fare con un altro concetto altrettanto importante, l’Eurobond: esso, infatti, è uno strumento finanziario emesso non da un singolo stato, ma dai paesi dell’Unione Europea nel suo insieme. In pratica si chiederebbe di mettere in comune il debito tra i paesi, presupponendo di avere delle politiche fiscali comuni per poi ripagarli. Chi li potrebbe emettere? L’istituzione europea per eccellenza, quale la Banca centrale europea (BCE), che comunque, per statuto, non può emettere bond né comprare Titoli di stato quando vengono emessi, ma solo sul “mercato secondario”, quando gli operatori se li scambiano tra di loro per mantenerli quanto più stabili possibili. Oppure la Banca Europea degli Investimenti (BEI), nata proprio con lo scopo di finanziare investimenti nei Paesi Membri.

Ci salveranno davvero i Coronabond?
Ci salveranno davvero i Coronabond?

Qui, però, arriva l’inghippo: ieri 26 marzo c’è stato il primo inevitabile scontro in Ue: durante la conference organizzata dai capi di stato degli Stati membri, l’Italia ha infatti rifiutato di firmare la bozza di conclusione del Consiglio europeo sulla risposa economica all’emergenza Coronavirus. Il primo battibecco si è consumato in un botta e risposta tra Italia e Austria, e sull’asse Roma-Vienna si è verificato l’ennesimo scontro che ha avuto come tema il rifiuto da parte di questi ultimi di mettere le obbligazioni in comune: il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, infatti, ha spento sul nascere l’ottimismo di un accordo europeo sul tema, risaltando le differenze tra Paesi virtuosi con basso debito e Paesi da bilanci claudicanti molto indebitati. «Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei Debiti», ha spiegato Kurz perché si tratterebbe di un «un vecchio modello che non ha funzionato neanche in passato». Immediata la risposta del premier Conte che ha dato una deadline di 14 giorni all’Europa per «per battere un colpo e trovare una soluzione adeguata alla grave emergenza che tutti i Paesi stanno vivendo». Se da una parte ha chiesto ai leader europei di istituire un gruppo di lavoro formato dai 5 presidenti per eccellenza, del Consiglio Ue, della Commissione Ue, dell’Europarlamento, della Bce e dell’Eurogruppo, per la formulazione di una proposta di risposta comune, dall’altra ha espresso i suoi dubbi, rispondendo fermamente che non si può pensare che «siano adeguati a questo shock simmetrico strumenti elaborati in passato, costruiti per intervenire in caso di shock asimmetrici e tensioni finanziarie riguardanti singoli Paesi». «Non disturbatevi, l’Italia non ne ha bisogno», ha concluso, appoggiato dal Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il quale ha confermato come sia arrivato il momento di «aiutare il popolo italiano spendendo soldi per aiutare imprenditori, lavoratori e famiglie dalla crisi» e dal direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, il quale ha fatto sapere che misure comuni sono necessarie quanto prima, prima che, appunto «il coronavirus potrebbe farci a pezzi». Un paracadute che si augura anche Carlo Calenda, leader del partito nazionale Azione, il quale sottolinea come, in mancanza di un «ombrello complessivo dell’Europa», se a rischiare sono i paesi più fragili economicamente, come l’Italia, per via della forte relazione economica con Francia e Germania, poi «rischia di crollare tutto il sistema».

Il premier, Giuseppe Conte, durante il summit conference Coronabond con gli altri capi di stato dell'Eurozona
Il premier, Giuseppe Conte, durante il summit conference Coronabond con gli altri capi di stato dell’Eurozona

Perché Conte ha reagito in questo modo? La risposta più logica sembrerebbe essere quella che porta ad una reazione naturale e istintiva alle parole dell’ex presidente della BCE, Mario Draghi, il quale nella mattinata di ieri, in un’intervista al Financial Times, aveva affermato che ci troviamo in una «situazione di guerra» e che dobbiamo «mobilitarci di conseguenza». Draghi, infatti, tradizionale sostenitore della stabilità dei conti pubblici nazionali, ha appoggiato stavolta la necessità di affrontare i gravi contraccolpi economici provocati dall’emergenza del Covid-19 attraverso «misure eccezionali per una catastrofe eccezionale». Di fronte ad una «inevitabile recessione profonda», pertanto, bisogna proteggere la popolazione dalla perdita dei posti di lavoro e «difendere la capacità produttiva con immediati sostegni di liquidità», ha affermato l’ex presidente della BCE, soffermandosi su un concetto fondamentale: bisogna «aumentare il debito pubblico», non più eresia contemporanea ma toccasana ad una guerra di nervi e di soldi. Uno sforzo enorme per le burocrazie, quella nazionale e quella europea, che dovranno fare in pochi giorni quello che di solito sono abituati a realizzare nell’arco di qualche mese. Visione e velocità, come Draghi riuscì a fare otto anni fa. Un pensiero che, nel complesso, è stato condiviso anche dal leader di Azione, Carlo Calenda, il quale ha fatto sapere che la manovra emanata qualche giorno fa dall’esecutivo giallorosso di 25 miliardi di euro, comparati con i 150 della Germania e i 117 della Spagna, «non è sufficiente e bisognerà ampliarla». Questo perché essa già al suo interno presenta dei limiti forti: da un lato, infatti, spacca il paese in due per le divisioni di reddito create in Cassa Integrazione tra dipendenti pubblici e le partite IVA, mentre dall’altro non «iberna il sistema economico alla sua chiusura», ossia non lega i dipendenti alle imprese o blocca le uscite di liquidità, «mettendo a rischio il tessuto industriale nazionale» alla sua riapertura. Un altro sostenitore accanito delle parole di Draghi è stato il leader del Carroccio, Matteo Salvini, il quale ha elogiato l’ex numero uno della Banca centrale europea, dando un caloroso «benvenuto all’aiuto di tutti coloro che potranno aiutarci in questa battaglia». «Si può fare debito», ha continuato, facendo cadere un mito che lo condannava ad essere considerato sciacallo e inopportuno dalla maggioranza. Una stessa maggioranza che ha visto fare le fusa alle richieste dell’opposizione, per l’ennesima volta, dal leader di Italia Viva, Matteo Renzi, il quale ha fatto sapere su Radio Capital come «le idee di Draghi sono giuste, sacrosante e vanno ascoltate», e di quanto la sua lettera al Financial Times «andrebbe letta e imparata a memoria da molti politici», strizzando l’occhio verso una commissione d’inchiesta dopo l’estate. Non esattamente quello che chiede l’ex ministro dell’interno, Matteo Salvini, più propenso verso un governo di unità nazionale: sarà mica stata questa la scintilla che ha fatto rinsavire il premier Conte dalla possibilità, non più così remota, di aumentare la manovra di 25 miliardi di euro e fare debito?

Mario Draghi, l'ex numero uno della Banca centrale europea
Mario Draghi, l’ex numero uno della Banca centrale europea: “Siamo in guerra, importante fare debito”

Ma è davvero corretto parlare di “litigi Ue”? Sebbene il summit straordinario si sia compiuto in un organo ed in un contesto europeo, «non è Bruxelles con le sue istituzioni comunitarie ad avere voce in capitolo, bensì le capitali europee». Parola di Alessio Pisanò, direttore della video service company TotalEU Video Production, il quale ha fatto il punto sul perché non bisogna additare sempre le colpe all’Europarlmento, alla Commissione e al Consiglio quando queste c’entrano poco con le decisioni prese dai singoli capi di stato e di governo che «portano gli interessi nazionali sulla bilancia delle decisioni comunitarie». Ancora una volta, quindi, l’Ue nella sua interessa non c’entra nulla, anzi: conta la sospensione, da parte della Commissione europea, dei criteri di bilancio sul deficit e sul debito pubblico, la quale ha anche stanziato 47,5 miliardi di euro per la ricerca di un eventuale vaccino; la BCE, invece, ha iniettato 750 miliardi di euro interno dell’ economia europea per risollevare soprattutto quei paesi maggiormente colpiti dalla crisi, e gli eurodeputati del Parlamento europeo spingono affinché si cerchi un coordinamento con misure comuni e coordinate tra i diversi paesi membri per rispondere a questa pandemia. «Sicuramente le istituzioni europee avrebbero potuto e potrebbero fare molto di più per rispondere a questa crisi», sottolinea Alessio, rimarcando comunque gli sforzi di sedersi ad un tavolo comune per cercare di risolvere i bisogni della comunità: «come faremo ad uscire da altre crisi in futuro se non creiamo cooperazione ora?». La posizione dell’Italia resta tra le più vulnerabili in attesa che vengano superate le divisioni tra i due blocchi di paesi, quello del nord composto da Germania, Austria e Olanda che non considerano i Coronbond lo strumenti giusto per fare fronte alle conseguenze economiche della crisi causata dal coronavirus, e quello del sud, che invece non esclude si possa individuare uno strumento di debito comune che sia solidale oppure subordinato a condizionalità più soft rispetto a quanto previsto oggi dal Meccanismo europeo di stabilità (MES). E si, perché quest’ultimo infatti, è un fondo di investimento, sostenuto dagli stati che appartengono all’Unione europea e hanno scelto l’euro come valuta, che aiuta i Paesi che potrebbero trovarsi in difficoltà economiche. L’Italia ha chiesto di ricevere i fondi MES ma ad una condizione: non avere condizioni. Questo perché la situazione in cui versa il vecchio continente è nuova a tutti, non ha precedenti nella storia e non poteva essere prevista nel caso in cui le stesse condizioni prestabilite dovessero essere mantenute a prescindere, quali riformare il sistema del lavoro, o intervenire sulle privatizzazioni, o ancora tagliare la spesa pubblica.

Christine Lagarde, attuale presidente della BCE, pronta ad utilizzare l'Omt come arma contro la crisi economica creata dal Covid-19
Christine Lagarde, attuale presidente della BCE, pronta ad utilizzare l’Omt come arma contro la crisi economica creata dal Covid-19

Quale soluzione allora? Se il MES sembra essere l’ultima spiaggia, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, è intervenuto concordando sulla necessità di fronteggiare la crisi economica «con coraggio e prudenza» attraverso anche «strumenti come gli Eurobond». Un’altra via auspica, invece, il coinvolgimento della Banca europea degli investimenti (Bei), proponendo un aumento di capitale per potenziarne capacità finanziaria, che consentirà di sostenere soprattutto le piccole e medie imprese e «raccogliere fondi sul mercato alle stesse condizioni», come inserito nella bozza di conclusioni del Consiglio. Terza strada, infine, è quella che riguarda il piano anti-spread Omt (Outright Monetary Transaction) per l’acquisto di titoli di stato a breve termine per sostenere l’economia dei Paesi dell’Eurozona colpiti dall’emergenza coronavirus. Lo strumento fu messo a punto nel 2012 dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi, durante la crisi dei debiti sovrani ma finora non è stato mai utilizzato. E a questo proposito la presidente della Bce, Christine Lagarde, avrebbe chiesto ai ministri delle finanze dell’Eurozona di prendere in considerazione l’emissione una tantum di Coronabond «accanto all’uso degli strumenti del Mes».

L’ora della verità sta arrivando: l’Europa batterà un colpo decisivo stavolta? Magari questo sarà il prossimo sequel della saga di James Bond da proiettare nelle sale cinematografiche post-Covid: “Corona Bond e la salvezza dell’Unione europea”.

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