Che fine farà l’Unione Europea?

Europa si o Europa no? è questo il dilemma Amletico che sembra disturbare il pensiero di un’opinione pubblica non più così univoco nel pensare che questa comunità serva tanto a noi italiani quanto all’intero “vecchio continente”.

Se è vero che la Germania e la Francia hanno “dimenticato” nei giorni scorsi il senso di collettività che avrebbe dovuto contraddistinguere 3 delle potenze fondatrici dell’ex Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) grazie all’impulso populista, è pur vero che l’interrogativo più grande nasce da una mancanza di competenze che Bruxelles ancora non ha. Ma allora, è vero che l’UE non fa niente? La disinformazione e le continue bufale sulle istituzioni europee che imperversano sul web hanno portato il direttore della video news service, TotalEU Video Production, Alessio Pisanò, a spiegare il perché, a livello burocratico, questi ingranaggi ancora non “ingranano”.

Per quanto riguarda la sanità, infatti, «l’Ue non ha competenze dirette per dire ad un paese quello che deve fare o non può fare», riferisce Alessio, sottolineando anche come dai Trattati Fondamentali dell’Ue, che riportano le regole della “costituzione europea”, «la comunità europea non definisce politiche sanitarie né l’organizzazione della fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica: la sua azione serve ad integrare le politiche nazionali e a sostenere la cooperazione tra stati membri nel settore della sanità pubblica». In parole povere? L’Europa non può intervenire direttamente dicendo alle autorità locali, regionali e nazionali cosa fare oppure obbligando le autorità di un paese a prendere determinate misure, limitandosi solo ad aiutare con finanziamenti economici. Finanziamenti che, negli ultimi giorni, sono saliti a 232 milioni di euro stanziati per far fronte a questa emergenza.

Appellarsi alle regole del mercato interno per far fronte alla mancanza di cooperazione tra stati membri in situazione di emergenza sanitaria. Il Covid-19 sta dividendo l'Europa?
Appellarsi alle regole del mercato interno per far fronte alla mancanza di cooperazione tra stati membri in situazione di emergenza sanitaria. Il Covid-19 sta dividendo l’Europa?

Il coordinamento mira alla condivisione di informazioni per avere una risposta quanto più coerente dal punto di vista europeo. «Una coerenza che, ad oggi, non c’è stata»: tutti i paesi europei, infatti, hanno preso misure diverse, partendo dall’Italia che ha chiuso molto le sue frontiere per via dell’emergenza scaturita, e finendo con altri che hanno solo adottato una chiusura parziale. «La coordinazione dell’UE non è obbligatoria», ribadisce Alessio, rimarcando come «il Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie pubblica dei report con i dati delle statistiche ufficiali di tutti i paesi membri tanto per dare una fotografia quanto più utile possibile al lettore, quanto per suggerire degli approcci di azione». Ci sono stati tanti summit per far fronte a questa situazione di emergenza: prima i ministri della salute dei governi membri dell’unione europea e poi i capi di stato hanno cercato un minimo di coordinamento attraverso l’ausilio di videoconferenze, per l’impossibilità di spostarsi per motivi di sicurezza.

Ha creato molto scalpore il caso della Germania che, nei giorni scorsi, ha imposto lo stop alle esportazioni di materiale medico; una decisione presa dal governo nazionale per proteggere gli interessi dei propri cittadini e che, «probabilmente, avrebbe preso qualsiasi altro stato membro qualora si fosse trovato nella stessa circostanza di emergenza». La stessa decisione che, alla fine, è stata ostacolata, criticata e addirittura evitata grazie all’intervento della Commissione europea con la sua presidente Ursula Von Der Leyen che, non avendo competenze dirette nella sanità, ha utilizzato le regole del mercato interno. «Ha giudicato, tramite l’impegno del commissario al mercato interno francese, Thierry Breton, che la messa al bando delle mascherine costituisce una violazione» fa sapere Alessio, “spoilerando” anche come già fosse pronta «una procedura di infrazione ai danni della Germania, per poi vedere l’immediata marcia indietro da parte di Berlino».

«Cosa succederebbe se di fronte a determinate crisi esistessero dei protocolli per la gestione delle figure professionali specializzati di ogni paese o una possibilità concreta di avere determinate politiche sanitarie che possano in maniera automatica, o con decisioni verticistici di Bruxelles, di poter intervenire in maniera forte e diretta?». La Lombardia, infatti, ad oggi sta soffrendo soprattutto di questa mancanza di coesione e coordinamento, schiacciata da una pressione che sta sopportando ma che, allo stesso tempo, la sta facendo vacillare. Se da una parte, così, questa riflessione è un invito alla consapevolezza di un’informazione giornalistica etica e deontologicamente più corretta, dall’altra è un tentativo per invogliare alla valutazione di questo quadro completo dell’intera situazione in emergenza Covid-19. Europa si o Europa no? Solo il tempo darà una risposta.

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