Coronavirus: Coldiretti, -11,9% export made in Italy in Cina

Crollano dell’11,9% le esportazioni Made in Italy in Cina nel mese di gennaio con l’inizio dell’emergenza Coronavirus che ha frenato i consumi nel gigante asiatico ma ha anche i flussi commerciali per i limiti posti al trasporto di persone e merci. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al gennaio 2020 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Una situazione che – sottolinea la Coldiretti – coinvolge direttamente l’agroalimentare dopo che le esportazioni di cibi e bevande Made in Italy in Cina avevano fatto segnare il record storico nel 2019 per un valore stimato in 460 milioni di euro, con un aumento del 5% grazie alla progressiva apertura del gigante asiatico a stili di vita occidentali, secondo le proiezioni della Coldiretti sulla base dei dati Istat. A pagare un conto salato è – precisa la Coldiretti – il vino che è il prodotto tricolore più esportato in Cina per un valore stimato dalla Coldiretti in 140 milioni di euro nel 2019 ma difficoltà ci sono anche per le esportazioni di frutta e verdura fresca Made in Italy che avevano fatto segnare in Cina il record storico con un balzo nel 25% grazie alla progressiva apertura del gigante asiatico.

Ma a preoccupare – denuncia la Coldiretti – sono le speculazioni in atto sui prodotti agroalimentari Made in Italy in alcuni Paesi dove vengono chieste senza ragione certificazioni sanitarie su merci come la frutta e la verdura provenienti dall’Italia. “Serve un intervento delle autorità nazionali e comunitarie per fermare pratiche insensate che rischiano di far perdere quote di mercato importanti alle produzioni nazionali per colpa di una concorrenza sleale che mira a screditare i prodotti dall’Italia che sono sani i garantiti come prima” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “si tratta di comportamenti ingiustificati che mettono a rischio la libera circolazione delle merci anche all’interno dell’Unione senza alcuna valida motivazione scientifica e vanno a colpire un settore strategico del made in Italy come l’agroalimentare che cresce all’estero ed esporta oltre 42 miliardi di euro”. Senza dimenticare – continua la Coldiretti – il blocco pretestuoso deciso da Taiwan alla carne di maiale italiana per un volume delle esportazioni di 1 milione di chili, secondo l’analisi della Coldiretti.

Sul mercato interno con l’emergenza coronavirus c’è – continua la Coldiretti – il rischio paralisi per il lavoro di 500 aziende agricole negli undici comuni della zona rossa fra Lombardia e Veneto a causa dei provvedimenti restrittivi adottati in aree a forte vocazione agricola, dagli allevamenti ai vigneti, dagli agriturismi alle cantine. Nella fascia di quarantena – spiega la Coldiretti – vivono oltre centomila fra mucche e maiali ed è necessario garantire una adeguata assistenza nelle stalle e della forza lavoro nei campi, anche in vista delle semine. Per il vino- continua la Coldiretti – il problema maggiore riguarda il blocco delle visite nelle cantine e i lavori fra i vigneti mentre gli agriturismi sono vuoti.

Le difficoltà – sottolinea la Coldiretti – si estendono in realtà all’intera area della pianura padana dove nasce oltre 1/3 del Made in Italy agroalimentare, direttamente condizionato dall’emergenza coronavirus nell’attività produttiva e commerciale. A tutto ciò si aggiunge la decisione della Romania di mettere in quarantena tutti i cittadini provenienti dalle regioni Lombardia e Veneto. Un provvedimento che rischia di privare l’agricoltura italiana dei centomila lavoratori che ogni anno dalla Romani raggiungono l’Italia per le attività stagionali nelle campagne. I rumeno sono la comunità di braccianti piu’ numerosa in Italia dove sono molti i “distretti agricoli” del nord dove i lavoratori immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso – conclude la Coldiretti – della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte e caseifici in Lombardia.

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