A Napoli un presepio con pastori ammalati

E’ un presepe assai singolare quello allestito in una delle sale del Museo delle Arti Sanitarie di Napoli: la sacra ricorrenza cristiana, infatti, ha offerto l’occasione per un inedito excursus sulle rappresentazioni artistico-artigianale dell’universo della salute. Ecco dunque i pastori che mostrano sui loro corpi i segni lasciati dalle pestilenze e dai vari malanni che affliggevano i napoletani del Settecento. Perché, come è noto, il presepe artistico partenopeo non faceva alcun riferimento ai luoghi originari del racconto biblico (Betlemme e dintorni) ma era invece una fedele ricostruzione della vita napoletana del tempo, con tanto di palazzi con i panni stesi ai balconi, improbabili castelli, cacciatori con armi da fuoco, taverne con giocatori di carte, barbieri all’opera e macellai con sontuosa esposizione di carne. Un quadro dunque fortemente “realistico” nel quale non poteva certo mancare la rappresentazione dei malati (nelle descrizioni definiti deformi), che erano presenze molto frequenti e ben visibili nella vita quotidiana del tempo a causa sia del gran numero di malattie sia della scarsa efficacia dei rimedi.
Così, anche con un ideale rimando alla straordinaria collezione di San Martino (legato Carrara), la dirigenza del Museo delle Arti Sanitarie ha deciso di fare una selezione di “pastori malati” per festeggiare il Natale nel cinquecentesco ospedale e al tempo stesso per ripercorrere la storia scientifica delle principali piaghe dei secoli passati, a cominciare dalle terribili epidemie che più volte si sono abbattute sulla città: la peste, il vaiolo, il colera, le febbri putride e tante altre. Attraverso i vividi dettagli – a tratti impressionanti – le opere restituiscono nella loro drammaticità tutta violenza del male, che inevitabilmente si abbatteva principalmente sul popolino indigente (se non altro per questioni meramente statistiche) e dunque andava ad aggravare la già critica situazione di quelle decine di migliaia di persone che vivevano ai limiti di tutto ed erano più esposti alle malattie. La carrellata, quindi, mostra innanzitutto le vittime della peste, in particolare la bubbonica, quella più deformante, e il micidiale vaiolo (che colpì tragicamente anche la dinastia borbonica spingendola ad attivare la prima grande campagna di vaccinazione in Europa), ma pure uomini e donne a cui è stato necessario amputare un arto, e le vittime di varie patologie: gozzi, ernie, mastiti, tumori cutanei e sottocutanei, cecità o difficoltà visive, particolari forme di obesità, labbro leporino, voluminose ernie. E quindi i pastori “deformi” più noti: il gobbo (“’o scartellato”) e il nano – due figure fortemente legate alla sfera delle superstizioni e considerate di buon augurio) – quindi lo storpio e soprattutto il lebbroso di biblica memoria. E insieme ai malati, i guaritori: monaci-speziali e alchimisti (i primi farmacisti), cavadenti, gli applicatori di serviziali (clisteri e mignatte), praticoni vari e altro ancora.
Una piccola raccolta – in tutto una ventina di opere – che si è scelto di allestire senza i tradizionali “scogli” (il paesaggio nel lessico presepiale napoletano) proprio per aumentarne la suggestione visiva e simbolica. Un’esposizione che è stato possibile assemblare grazie alla preziosa disponibilità degli artisti-artigiani del famoso atelier Fratelli Scuotto (la celebre “Scarabattola”), che anche su questo tema hanno realizzato alcuni dei loro capolavori. Al lavoro dei celebri fratelli di via Tribunali si è aggiunto quello di alcuni artisti, cultori e collezionisti che è doveroso ricordare: Roberto Caruso, il professor Fernando Gombos, Stefania Matera e lo stesso direttore del Museo di Arti Sanitarie, il professor Gennaro Rispoli. E proprio quest’ultimo, peraltro ideatore dell’iniziativa, ne spiega il senso: “Mostrare il male o le piaghe senza pudori equivale a esorcizzarlo, così come questi pastori sono un’occasione di riflessione sull’epidemiologia e sui malanni dei secoli scorsi. Anche questo – aggiunge – fa parte dell’indagine storico-medica del Museo. Non solo. Abbiamo voluto mostrare anche quelle curiose figure di guaritori che rappresentano la nascita delle professioni sanitarie”.

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