Una breve parentesi distensiva

Con la motivazione, invero reale, di dover necessariamente assistere ad alcuni interventi di riordino stagionale nel giardino attiguo alla casetta delle vacanze, mi sono concesso una pausa, appena quarantotto ore, evadendo così dalle quotidiane abitudini personali fra le pareti domestiche e allontanandomi, in abbinata, dai frastuoni, dalle chiacchiere noiose, dalle beghe, il più delle volte senza senso, che caratterizzano, purtroppo poco dignitosamente, la vita e la cronaca cittadina.
Dall’esperienza, grazie anche alle eccellenti condizioni atmosferiche, ho potuto trarre profondo apprezzamento, rendendomi soprattutto conto – credetemi, ogni tanto c’è proprio bisogno di una riflessione del genere – come, in fondo, siano sufficienti limitate e semplici scansioni ed azioni, durante il giro dell’orologio esistenziale, per riuscire a sentirsi appagati dentro. Invece, di quanti inutili e superflui fronzoli siamo soliti, ahinoi, circondarci, ormai senza neppure accorgercene, durante le nostre comuni giornate!
Come più immediato effetto della “fuga”, confesso di essermi trovato a lungo, con soddisfazione, ad ascoltare il silenzio, la melodia della mancanza assoluta di rumori all’intorno, tranne solo l’andirivieni a volume bassissimo dei miei respiri e lo scivolamento dei miei pensieri.
Mi è sembrato quasi una magia poter cogliere distintamente – sotto il palmo della mano adagiato sul petto, esercizio non consueto – il “tum, tum” ritmato del cuore; distinguere oltre la finestra, a guisa di note sottili ma non meno armoniose, il fruscio delle foglie argentee degli ulivi e, in un più distante sottofondo, lo sciabordio delle onde leggere sugli scogli, abbrunitisi per via dell’usura millenaria. L’effetto è stato di ritornare, d’incanto, in uno stato di quiete con me stesso, di avvertire una sensazione oltre qualsiasi gioco emotivo.
Il provvisorio isolamento, o lieve esilio, mi ha infine dato modo di scorgere, ancora una volta, la dolce e giovane figura di R., ragazza non vedente sin dalla nascita e perciò burocraticamente definita persona diversamente abile. Nel caso specifico, la codifica è impropria e non corrispondente affatto alla realtà, giacché R. non è aiutata, è vero, dalle pupille, ma ha la capacità di sopperire a ciò con le sue spiccatissime doti interiori di sensibilità, discernimento, autodeterminazione e forza di volontà, riuscendo, alla fine, addirittura meglio di noi “normali”: legge benissimo, lavora al computer, durante la stagione estiva, nella bellissima località di villeggiatura dove abita, presta inoltre attività sotto forma d’informazioni e accoglienza ai turisti, collabora presso una radio e, soprattutto, ha conseguito una laurea.
Anche il rinnovato impatto con R. mi ha dato molto appagamento in questi giorni di autonoma abdicazione al tran tran delle abitudini.

 

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