LE GEOGRAFIE DEL CUORE DI FABIO SALAFIA IN MOSTRA A ROMA

Approda a Roma l’intensa personalità del pittore siciliano Fabio Salafia, con una preziosa mostra allestita presso la Galleria Acquario Arte Contemporanea, con una cura critica affidata ad Elisa Mandarà.

La personale Geografie del cuore, costituita da una corposa silloge di oli di diverso formato, costituisce il trasferimento della più recente esposizione dell’artista, ospitata lo scorso agosto presso il suggestivo Castello di Donnafugata, nei pressi di Ragusa, rispetto alla quale mostra, questa nuova occasione espositiva dell’artista presenta anche lavori inediti.

Pittore tra i più apprezzati tra le nuove voci dello scenario artistico italiano, Fabio Salafia intraprende il cursus espositivo nel 2002, che si dispiega in seno a mostre collettive, oltre cento, nel territorio nazionale, quindi in una collana di personali, la cui prima, Equazioni visive, viene ospitata dalla Galleria degli Archi di Comiso ed illustrata da un catalogo, in cui la prefazione porta la prestigiosa firma di Piero Guccione.

Sul piano tematico e stilistico, Salafia avvia il suo percorso da una ispirazione fondamentalmente paesaggistica, ma vissuta in una originale soggettività delle percezioni e della restituzione della natura. Pur mantenendo un costante riferimento al reale, condotto in una sofisticata rete di analogie col vero naturale, l’artista porta avanti un discorso che investe parimenti sui valori pittorici dell’opera.

Nell’affrontare quello che a un primo sguardo potremmo valutare come paesaggismo, Salafia si allontana dalla figurazione tout court, come scrive Elisa Mandarà nel testo critico che accompagna l’esposizione, «per dare forza al segno e al gesto, al punto tale che l’energia del suo gesto e del suo segno diventa la struttura portante della sua opera. Il paesaggio di Salafia – continua il critico d’arte – è dunque parafrasi di natura, è uno spazio verosimile concepito essenzialmente come luogo evocativo di regioni intime. È un guardare nuovo, che nulla ritiene del calco fotografico ai luoghi cari, amati nelle loro vibrazioni ctonie, sedimentati in un compendio caleidoscopico di immagini, introiettate dal cuore, quasi in autonomia dalla vista e profuse sulla tela, in spargimenti lirici e pittorici».

Da qui il titolo della mostra, Geografie del cuore, che, ponendo l’accento sul valore di traduzione d’una emozione che si propone il pittore siciliano, non ne vuole celare la fine cultura figurativa, forte di studi specifici su maestri senza tempo come Leonardo da Vinci, Charles Le Brun, Cartesio. È dunque un viaggio, quello di Fabio Salafia, che addita, quale meta ultima, all’anima, al nucleo caldo delle cose naturali e delle cose dell’uomo, in un discorso stilistico finissimo, che percorre con sapiente equilibrismo il difficile confine tra figurazione e volontà d’astratto, con una tenace attenzione alle fascinazioni sprigionate dalla consapevole amministrazione della materia pittorica.

 

 

Fabio Salafia, Cenni biografici

Fabio Salafia nasce nel 1979 a Grammichele, in provincia di Catania. La sua vocazione artistica è testimoniata dal percorso di studi, l’Istituto Regionale d’Arte “Raffaele Libertini” di Grammichele, dove consegue la maturità in Design Architettura e Arredamento, e l’Accademia delle Belle Arti di Catania, dove si laurea nel 2004.

Fin dai primi lavori, si profila l’interesse fondamentale del pittore per il paesaggio, affrontato nel tempo con diverse tecniche, l’olio, il pastello, l’incisione, e indagato nella soggettività delle percezioni della natura, come essenziale traduzione d’una emozione. Le chiavi d’accesso all’universo pittorico di Salafia vanno infatti ricercate proprio nelle regioni stratificate dell’io

Sul sito dell’Artista, la rassegna completa delle esposizioni, personali e collettive.

Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti negli anni, segnaliamo: 4ª Biennale Internazionale di Pittura, Premio Felice Casorati, Pavarolo (To); “Concorso internazionale di Pittura Giuseppe Gambino 2015”, Chiostro della Chiesa di Madonna dell’Orto; Premio Nazionale delle Arti, edizione 2005; Museo degli Strumenti Musicali, Roma, 2006; 20×20, Galleria Beukers, Rotterdam (Olanda); 2004; 8ª edizione Prima Parete in Concerto, Complesso Le Ciminiere, Catania; Cantieri Culturali Zisa, Palermo; Il Cantico dei Cantici, Palazzo della Signoria, Jesi (An).2005; 2007 Premio terna 01, Roma (sez. online), 2007; Dell’amore, il canto; 2ª edizione La terra ha bisogno di uomini , Reggia di Caserta, 2009; 47ª biennale Mostra nazionale di pittura contemporanea, Santhià (Vc). Del 2010 è Aspetti di Arte astratta nella raccolta “Fiocchi”, Palazzo Forte Malatesta, Ascoli Piceno, che ospita, assieme a Salafia, artisti del calibro di Accardi, Balla, Calabria, Festa, Capogrossi, Schifano, Fontana, Burri.

Tra le numerose opere, menzioniamo il polittico A San Sebastiano, destinato alla Chiesa di San Sebastiano di Palagonia (CT), esitato nel 2007.

Tra le voci critiche che hanno scritto di Fabio Salafia citiamo Paolo Nifosì, Piero Guccione, Francesco Brancato, Armando Ginesi, Valentina Falcioni, Riccardo Passoni, Tiziana Rasà, Giuseppina Radice, Paolo Giansiracusa, Marco Di Capua, Sebastiano Gesù, Elisa Mandarà.

L’artista vive e lavora a Grammichele.

 

Dal testo critico Geografie del cuore di Elisa Mandarà

«Sono anfratti nascosti tra la verdura viva del giardino, mantecate caligini che s’allargano sopra distese di aria e acqua. Sono cromie fredde che dilatano malinconie lungo sentieri inventati sopra una prospettiva che onora il canone, divergendone con la personalità pittorica, sono mondi paralleli. Sono tripudi festosi di colore, dosati dinamicamente in una pittura d’azione, dove c’è la gamma floreale di nuance aperte e dove è contemperato il bitume definitivamente nero, punto di forza tra sinestesie e dissolvenze. Stilemi che toccano e fuggono tentazioni surrealiste e che sono sempre allusivi di geografie del cuore. Plaghe evanescenti tagliate dalla lama luministica centrale, che abbisognano del riconoscimento d’un orizzonte, verità visiva e al contempo puro pretesto di vero, che accontenta esigenze estetiche.

Nell’universo altro di Fabio Salafia il paesaggio si specchia nella sua doppiezza, in ambivalenze che sono comportate dalle infinite individuali percezioni della natura, in vedute che sollecitano intime inebriazioni, che conoscono un elegante tonalismo, in uno splendido estro spaziale e compositivo, che abbraccia la felicità edenica – talora inquietata da scure presenze alate – o che sa liquefare la veduta nella macchia polisemica. […] Potremmo tracciare una nutrita costellazione di ascendenze e contiguità, nell’opera di Salafia, anzitutto sensibile alle indagini dell’Informale. Lo attesta l’elaborazione dell’olio sul quadro, assunto e trattato nelle sue qualità specifiche, visive e tattili; la materia satura completamente il quadro, divenendo in sé immanenza di luogo, stagliandosi dalla superficie in ictus compositivi che amano il grumo e la pasta alta, senza sterili compiacimenti, ma col senso equilibrato del ricercato accento, desiderato dalla composizione.

Potremmo collocare, tra gli antecedenti significativi del lavoro di Salafia, la Nuova Figurazione, per la tensione alla conciliazione delle istanze del realismo con un linguaggio pittorico contemporaneo e, per altri versi, la Nuova Pittura, anche per la concentrazione della ricerca sul colore, in quanto sostanza fenomenica della pittura, o per il controllo del gesto pittorico. O anche – parliamo qui di linee ideali – la tensione compositiva del gruppo CoBrA, quando Salafia, in brani importanti delle sue opere, pare fornire materia e linguaggio alle sollecitazioni profonde dell’io.

Il suo specifico appartiene però più propriamente a quel ritorno alla pittura che contrassegna il cosmo creativo di tanti artisti che operano negli anni Ottanta e il cui iter creativo perdura a oggi. Un parallelismo più visibile potremmo rintracciare rispetto alla cifra di pittori magistrali quali Anselm Kiefer, Peter Doig (tangenze tra Salafia e Doig erano state già lucidamente rilevate da Marco Di Capua), Howard Hodgkin, artisti tutti, i quali, salve le reciproche indipendenze, hanno cavalcato la linea di demarcazione tra astrazione e figurazione, dando voce prioritaria a situazioni emozionali, attraverso l’altezza di un discorso squisitamente pittorico».

About Author