La “Pastorizza” di Marittima, mia oasi di frescura

La piccola pineta che circonda la villetta del mare, chiaramente cresciuta e infoltitasi nell’arco di decenni, era divenuta eccessivamente fitta e, con le chiome verdi, si intrecciavano rami rinsecchiti, a volte senza soluzione di continuità tra una pianta e l’altra. Indispensabile, per ciò, una radicale potatura o rimonda come si dice da queste parti con riferimento agli uliveti.
Non è stato facile il compito, ma, almeno nella fase che ha richiesto un cestello di lavoro su una gru, montante in alto, se non proprio sino alla cima delle piante, è stato compiuto. Ora, resta l’altrettanto grande lavoro di ripulitura del terreno, con rimozione delle montagne di rami venuti o meglio tirati giù, salvando soltanto una scorta di ciocchi da utilizzarsi per grigliate estive all’aperto.
E’ cambiato l’aspetto della pineta, adesso, i componenti della famiglia, compresi i nipotini, saranno soggetti ad una minore frescura, però, avranno più luce e cielo azzurro.
Durante le operazioni di sfoltimento, stando proprio a ridosso, sotto agli alberi, si sono notati, sulle cime più alte, alcuni grandi nidi, realizzati da volatili, comuni in questa zona, della grande famiglia delle gazze o cornacchie, contraddistinti da un misto di piume bianche e piume nere, in dialetto, sono chiamati, questi uccelli, picalò e la presenza di detti nidi ha fatto ricordare che medesimi alati seguitano a prolificare, per loro non esistono ancora le pianificazioni familiari tipiche degli umani, né controlli delle nascite.
Nello stesso tempo, però, anche detti abitatori dell’aria, danno l’impressione di risentire in qualche modo della nostra crisi, essendosi ridotti, almeno così è per le picalò del mio giardino, ad appostarsi, a montare la guardia alla ciotola del mio fedele amico certosino, approfittando di ogni attimo di sua assenza, ma talvolta arrivando addirittura a intimorirlo e a farlo allontanare, per piombarsi sul suo cibo o i suoi avanzi, di cui fanno man bassa in pochi secondi.
E il micio, dà palese segnalazione di queste intrusioni, se ne lagna attraverso mesti miagolii, se non che, sinceramente, rispetto alla concorrenza che viene dall’alto, ci sono pochi rimedi.
Della pineta, svettanti a fianco delle colonne del portone principale, fanno parte anche due bellissime piante, pini speciali, dalla grande chioma ombrelliforme, che producono le cosiddette pigne, al cui interno si formano ulteriori frutti, detti pinoli.
Ora, succede che da qualche anno le pigne scarseggino come numero e per di più, sovente, dentro, si presentino vuote. Al contrario, prima, era tutt’altra cosa, cioè a dire, si trovavano autentici piccoli tesori di pinoli all’interno delle pigne e quando le stesse, alla fine dell’estate, si dischiudevano dopo il grande caldo, i piccoli frutti fuoruscivano a ricoprire letteralmente il terreno sottostante, tanto che, era sistematico, un’abitudine consolidata, per il padrone di casa, i suoi figli e i primi nipotini, soffermarsi nella zona sottostante alle due monumentali piante, per cercare e raccogliere i pinoli celati sotto gli aghi delle medesime piante e/o delle erbe presenti sull’humus.
C’era, accanto, il muretto delimitante la proprietà del vicino, utilizzato come punto d’appoggio e lì, dopo la raccolta di qualche manciata di pinoli, via al vezzo, con l’aiuto di un sasso o piccola pietra, di schiacciare i pinoli e gustarne il contenuto, ambito particolarmente dai piccoli.
Adesso, dopo il taglio di molti rami secchi dei pini in questione, la speranza è che le pigne ritornino a nascere copiose e, soprattutto, con molti pinoli racchiusi all’interno.
Così, almeno, nelle parole dell’amico agricoltore che ha effettuato la potatura o rimonda.

 

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