Jeffery Deaver e il suo “Il Gioco del mai”

Nuovo personaggio e nuova serie per l’indiscusso maestro del thriller contemporaneo. L’autore americano ci conduce nei meandri della sua ultima fatica a suon di imprevisti, paure e colpi di scena. Dal recente Festival della Letteratura di Mantova, e in giro per le librerie italiane. Chi se lo è accaparrato ha fatto pienone e cassetta

Non si stanca mai. Il prossimo 6 maggio saranno settanta le candeline da spegnere. Ma nonostante tutto c’è sempre lo spirito e la verve per costruire nuove storie. La prerogativa è sempre la stessa: quella di stupire e di tenere incollato il più disattento e riluttante dei lettori dalla prima all’ultima pagina. È sempre questo Jeffery Deaver: ex giornalista, ex avvocato, artista e scrittore a tempo pieno. Un factotum a tutto tondo che lo ha reso noto al mondo con Il collezionista di ossa (Premio Nero Wolfe 1999), la prima indagine di Lincoln Rhyme e Amelia Sachs al cui ciclo si aggiungono quelli di John Pellam, Kathryn Dance e la Trilogia di Rune. È inoltre autore di altri lavori singoli (poesie e audiolibri), racconti brevi e testi di canzoni. Nel 2008 I corpi lasciati indietro è stato nominato romanzo dell’anno dalla Thriller Writers Association. Ha raccolto inoltre il testimone di Sebastian Faulks entrando a far parte della schiera di autori delle avventure di James Bond.

Jeffery Deaver e il suo "Il Gioco del mai"

Con Il Gioco del mai, Colter Shaw è il nuovo protagonista di una nuova serie destinata a stupire e avvincere. Si tratta di un tracker, un localizzatore, un personaggio che per vivere ricerca persone scomparse e sa sempre quali atteggiamenti assumere in base ad indizi, situazioni ed eventi e che sa esattamente come sopravvivere a condizioni estreme e di disagio. La misteriosa scomparsa di una studentessa universitaria in California lo trascinerà fino alla Silicon Valley. Un malefico videogame, giochi di potere, ricchezze e conseguenti vittime sono gli ingredienti veri e propri di una partita col demonio.

Ma per comprendere a fondo la vera essenza che anima e tiene viva la fiamma della fantasia di Deaver, e che accompagna ogni suo romanzo, lo devi avere davanti.  Subito non ti dà certo l’impressione di un americano di Chicago. Il suo abito gessato, l’eleganza e l’atteggiamento assomigliano più a quello anglosassone che ad altro. Ma sorseggiare un buon bicchiere di vino bianco italiano lo rende più affabile e loquace.

“Non mi piacciono i finali che lasciano in sospeso il lettore. Non scrivo mai libri che abbiano un finale negativo, dove tutto alla fine precipita e va male” – attacca lo scrittore.

“È così anche per Il Gioco del mai”. La mia intenzione è quella di incollare il lettore al libro. Fargli vivere ogni pagina col fiato sospeso. Le ultime come le prime. Le prime come le ultime. Non voglio che il lettore si distragga nemmeno un attimo e se è necessario resti incollato al libro tutta la notte. Tengo molto ai miei lettori e al loro giudizio finale. È così per ogni libro che scrivo”.

Ma evidentemente questa è un’essenzialità per chi, come lui, scrive da anni di questo genere. Ma i conti veri si fanno con l’adrenalina che si innesca nelle vene del lettore: la paura.

“La paura fa parte della nostra esistenza” – prosegue.

“Io, ad esempio, credo di avere paure normali. Non amo l’altezza e non mi piacciono gli spazi angusti. Ma ogni tipo di paura ci mette alla prova come esseri umani. Io preferisco scrivere delle paure dei miei personaggi, di immedesimarmi in essi. La paura è un’emozione che definisce gli esseri umani. C’è chi preferisce nascondersi dietro ad essa e c’è chi invece preferisce affrontarla a viso aperto”.

È anche questo il format della sua ultima fatica. Di paure e di ribaltamenti di fronte ce ne sono pure qui. Ma in Jeffery Deaver si apprezza non solo la struttura creativa e linguistica ma soprattutto la storia, l’ambientazione, la fantasia legate anche a fattori sociali.

“Ho scelto la Silicon Valley, un videogioco letale, qualcosa di tecnologico perché questo mondo mi ha realmente stupito e, forse, fatto paura. Perché dietro ad esso ci sono giochi di potere, manipolazioni e condizioni che spesso rasentano, appunto, la paura. Basti pensare che dipendenti quotati della Silicon Valley, abitando oltre duecento miglia da casa, non hanno una sistemazione da parte dell’azienda e perciò sono costretti a dormire la notte nelle loro auto” – afferma sconcertato lo scrittore.

Ma Deaver non si ferma solo ai suoi libri, ai suoi personaggi, e ad una condizione politica americana attuale che sembra non si addica alla propria linea. Segue i giovani nell’ambito delle scuole di scrittura creativa.

“Per diventare uno scrittore ci sono delle linee guida, dei percorsi da seguire che possono certo aiutare chiunque. La prerogativa essenziale resta quella di leggere e scrivere molto. Solo così si può sviluppare la fantasia che tutti noi abbiamo. Io scrivo seguendo un programma preciso. Mi propongo degli step. Inquadro la situazione e costruisco l’ossatura dell’intero romanzo. Definisco i personaggi principali. Il gioco del mai all’inizio era solo di centocinquanta pagine” – conclude l’autore.

 

 

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