IN VENETO MENO DISOCCUPAZIONE PIU’ PRECARIATO

Meno disoccupati e più opportunità di lavoro: il Veneto è una delle regioni leader in Italia  per dinamicità del mercato del lavoro, con i più alti livelli di  occupazione.

Ma a crescere sono soprattutto i contratti di lavoro temporaneo: negli ultimi dieci anni la percentuale dei giovani precari in Veneto è raddoppiata, passando dal 18% nel 2007 al 34 per cento del 2017. Più di un terzo degli under 34 in Veneto non ha un lavoro stabile. E, spesso, il precariato porta con sé retribuzioni più basse o, comunque, redditi medi che scontano i periodi di inattività.

A mettere a fuoco le dinamiche economiche e sociali di un mercato del lavoro sempre più divaricato tra ‘garantiti’ e non, tra anziani e giovani, è l’ultimo bollettino mensile “Statistiche flash” dell’Ufficio statistica della Regione Veneto, che da lunedì 12 novembre sarà online nel sito www.regione.veneto.it.

I giovani veneti – spiega il report statistico – si trovano in una condizione di vantaggio rispetto ai coetanei delle altre regioni: i Neet (cioè i giovani che non studiano e non lavorano) sono 15 su 100 (nel resto d’Italia sono 24 su 100), in flessione del 2,7 per cento rispetto all’anno precedente; e il tasso di disoccupazione giovanile è del 20,9 per cento, 14 punti in meno della media nazionale. Il Veneto, insieme a Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lombardia e Valle d’Aosta, è fra le regioni dove gli indici occupazionali sono più alti e il dinamiche del mercato del lavoro sono più vivaci.

Ma il mondo del lavoro si sta facendo sempre più precario: gli  occupati dipendenti complessivi nell’ultimo anno sono cresciuti del 3,2 per cento, quelli a tempo determinato del 15,3%.

Risultano in aumento – evidenzia Statistiche Flash – la percentuale di lavoratori con una bassa paga, che si riflette in minori opportunità e maggiore rischio di esclusione sociale per persone che comunque lavorano, e quella degli occupati con un titolo di studio superiore a quello richiesto per svolgere la professione in cui sono impiegati. Nel 2017 i dipendenti in Veneto che guadagnano una retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella mediana sono il 6,8% e il 23,6% risultano essere i sovraistruiti, oltre 6 punti percentuali in più dal 2007.

Anche in questo caso il Veneto fa meglio del resto d’Italia, dove la percentuale delle basse retribuzioni supera il 10 per cento e quella degli assunti con titoli di studio superiori alle mansioni richieste è del 24 per cento, ma precarietà e basse retribuzioni producono anche in Veneto un progressivo allargamento della forbice nei redditi e, quindi, delle disuguaglianze. E’ sempre il bollettino statistico regionale a misurare la crescita diseguale del reddito complessivo delle famiglie venete: nel 2016 il 20 per cento delle famiglie più ricche deteneva un reddito complessivo pari a 4,3 volte quello del 20 per cento delle famiglie più povere, un anno prima la distanza era di 3,8 volte.

Anche se in Veneto le condizioni economiche sono migliori e ci sono più opportunità di lavoro, il 18 per cento della popolazione è a rischio povertà o inclusione sociale. “In questi anni di crisi a pagare il prezzo più caro sono state le giovani generazioni: sono a rischio di povertà o di esclusione sociale il 21 per cento dei minori (circa 165mila, il 35% in più rispetto al 2009) e il 19% dei giovani 18-34enni. Ma la novità, rispetto al passato, è che si può avere un posto di lavoro ma non avere un reddito sufficiente per essere sopra la soglia della povertà. La disoccupazione si conferma una causa certa di impoverimento (il 46% dei disoccupati è a rischio di povertà e di esclusione sociale), ma nel 2016 a trovarsi sotto la soglia della povertà era l’11 per cento degli occupati. “Non basta avere un lavoro per essere al riparo della povertà – annota Statistiche Flash – Lavori sotto inquadrati, part time involontario, contratti di lavoro a termine, ingresso ritardato dei giovani nel mondo del lavoro e bassi salari, sono tutti elementi che incrementano il rischio di povertà ed esclusione sociale. Non si tratta quindi solo di creare posti di lavoro, ma anche di sviluppare qualità nell’occupazione”.

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