Fra i drammi dei tempi: coscienza, dove sei andata a finire?

L’ispirazione e le radici che sono sottintese a queste note vogliono partire da lontano e da un arcobaleno d’umanità, con correlati drammi, abbracciante i continenti a tutto tondo. Non solo 11 settembre 2001, Iraq, Afghanistan, Medio Oriente, Siria, svariati e disgraziati Paesi africani, discriminazioni razziali, fondamentalismi e diatribe religiose, carestie, realtà diffuse di fame e miseria, ma anche ciò che fa non parte dell’elenco esemplificativo, ma c’è.
Non possiedo galloni di penna da richiamo, né, tantomeno, di fonte di cultura e di opinione. Sono soltanto un comune narrastorie.
Purtuttavia, sentendomi cucito addosso -per mero fatto naturale- un dignitoso abito di cittadino e identificandomi quindi, nel mio piccolo, come tassello della collettività, non mi stanco -è più forte di me- di guardarmi intorno.
E così, osservo, rifletto su ciò che accade: chiaramente, snocciolo un rosario senza fine di vicende, minuscole ed enormi, ordinari fatti di cronaca, drammi e tragedie, col risultato che orecchie e sentire interiore finiscono con l’essere, quasi ogni giorno, assordati da immagini e frastuoni di eventi, reati, delitti e stragi, che si caratterizzano tristemente per via dei loro eclatanti contenuti o per la particolare scorza di crudeltà che, sovente, li ispira e li avvolge.
E però, ancorché una simile sequenza ravvicinata e incalzante di azioni negative e crudeli valga a giustificare, in linea di principio, il sentimento di netta repulsione e di condanna verso le losche figure degli autori, giammai, tale inferno, deve indurre, perché non è giusto, a generalizzare e a criminalizzare a tutto campo con leggerezza.
A motivo, anche, giova ricordarlo, che sulle strade del male e della devianza, non ci si imbatte solamente in gente venuta da fuori e da lontano, essendo i protagonisti in negativo, talvolta se non spesso, nati e cresciuti in mezzo a noi, in seno alle nostre normali famiglie.
A questo punto, mi sovviene il titolo di un articolo, uscito intorno al Natale di alcuni anni addietro, a firma del famoso giornalista e scrittore Enzo Biagi. Recitava: “E’ tornato Erode e la pietà è morta”. Analogamente al sentimento che mi pervase di primo acchito all’epoca, mi viene ancora oggi spontaneo di dare atto a Biagi della puntualità e della profondità di pensiero offerte ai lettori, attraverso tale titolo, proprio con riferimento agli accadimenti che, ora come già allora, si susseguono senza soluzione di continuità sul pianeta, sotto forma di eventi tragici, sanguinosi e distruttivi.
Andando a maggior ritroso, eravamo invece abituati a registrare e a vivere fatti di carattere eccezionale, ossia a dire che lasciano il segno, vuoi da diretti partecipanti vuoi da testimoni vicini o lontani, con scansioni non a ritmo costante e neppure frequenti, nella mente e nell’anima ne metabolizzavamo la risonanza e gli effetti grazie a processi fisiologici particolari, le tracce dei medesimi episodi restavano realmente e profondamente impresse nel nostro interiore, tanto che, a lungo, ci capitava di farne rievocazione, a guisa, davvero, di passaggi cruciali e indelebili dei nostri ricordi e della nostra stessa esistenza.
Adesso, ahinoi, come è noto, di sconvolgimenti, calamità, sfracelli o catastrofi sensazionali, ne arrivano invece a ripetizione, in ogni angolo della terra. E questo, al pari di altre non poche sfaccettature su solchi di peggioramento, potrebbe leggersi e interpretarsi come un beffardo rovescio della medaglia in seno al processo di globalizzazione.
Se siamo giunti al punto che la strada tracciata davanti all’umanità reca, più che segnali di diverso genere, muretti di lutti, ombre di distruzioni, impronte di disdegno assoluto della sacralità della vita e di disprezzo dell’esistenza del prossimo, bella conquista ha compiuto la società del terzo millennio!
Né importa se i pupari che preordinano ciò che accade agiscono da soli o in scellerate congreghe, se si tratta di dittatori oppure di politici aridi o potentati economici e finanziari oppure di tiranni assetati di potere oppure di singoli fanatici religiosi o fondamentalisti.
Magra consolazione è aggiungere che la nostra coscienza non può che rimpiangere taluni modelli di ieri, ma forse sbaglio, io comune narrastorie, a parlare di coscienza: mi sa che, nell’ambito della realtà che andiamo attraversando, la componente coscienza, già costituente -consciamente o inconsciamente- la base fondante delle manifestazioni e dei comportamenti d’ogni essere vivente e pensante, sia andata a farsi benedire.
Che peccato!
Conclusione, di questi tempi, dunque, si può restare vittime innocenti a ogni piè sospinto e in mille modi differenti e inimmaginabili; peggio ancora, la vampa del terrore che attanaglia non promana tanto dai drammi, uno per uno, che si succedono, quanto dal sospetto e dall’aspettativa della loro progressiva intensificazione e recrudescenza, sia come numero, sia come intensità di reiterazione, sia come dimensione e conseguenti effetti deleteri.
Addirittura, finiscono con l’apparire unicamente un segno esteriore, non un autentico e concreto motivo di partecipazione e di solidarietà, iniziative del genere di lumini accesi, di selve di cartelloni, striscioni e slogan e, finanche, di riunioni dei responsabili di numerosi e svariati paesi di tutto il mondo.
Se il coinvolgimento si esaurisce, come sin qui accaduto, in breve arco temporale, non appena rientrato il primo effetto emotivo, e, subito a seguire, gli interessi di parte, di schieramento e di natura materiale tornano a prevalere schiaccianti rispetto a linee di condotta e politiche mirate al vantaggio e benessere comune.

 

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