Da Lecce, petali di varia umanità

Quasi nel cuore della stagione invernale, qui, madre natura, offre un mattino assai bello, sole splendido, luce sfolgorante del tipico genere salentino, nemmeno una nube in cielo, aria fresca e frizzantina, leggera a respirarsi e che ti rigenera dentro. Cornice ideale e stimolante, dunque, per una passeggiata in direzione del centro cittadino.
Oltre che l’effetto dei propizi elementi atmosferici di cui anzi, l’appagamento del pedone narratore va man mano arricchendosi grazie, anche, a un piccolo rosario d’immagini e situazioni che si ha casualmente modo di incontrare e visionare.
All’interno della villa comunale, nell’agorà delimitata da una serie di busti in pietra leccese raffiguranti concittadini illustri, lo sguardo si volge verso due panchine quasi contermini. Sulla prima, sostano tre giovani uomini dall’aspetto gioviale e tranquillo, tratti d’origine mediorientali o arabi, verosimilmente facenti parte della nutrita colonia d’immigrati che vive da queste bande. Sembrano intenti a una conversazione così semplice e pacata che, a osservarli, danno la parvenza, quasi, di vecchi amici.
Sedute sull’altra, invece, due ragazze carine, intorno ai sedici/diciassette anni, trucchi appena accennati, capigliature garbate, niente sigarette o gomme da masticare in bocca, con accanto i rispettivi zaini. Anche loro, calme e distese.
S’accosta, il curioso, e non riesce a trattenere la domanda: “Niente scuola, oggi?”. Al che, le interessate, non modificano l’espressione e si mantengono sorridenti; all’ulteriore domanda:
“C’è, forse, un compito in classe?”, una di loro precisa di buon grado: “Si, di matematica”. E così, via allo scambio di un ciao.
Nei pressi della Basilica di Santa Croce, proprio tra Palazzo dei Celestini e Palazzo Adorno dove hanno sede gli uffici dell’Amministrazione Provinciale, nel mezzo della strada, si nota un gruppetto di persone chiaramente intente a dar vita a una manifestazione.
Dagli agenti di polizia presenti in zona, si apprende che trattasi di prestatori d’opera precari, della categoria dei cosiddetti lavoratori socialmente utili, i quali, a fronte di servizi resi al citato ente, a causa della dichiarata mancanza di fondi nell’attuale fase di ridimensionamento delle Provincie, lamentano di non aver ricevuto il corrispettivo previsto e spettante. A loro sostegno, un uomo con piccolo microfono in mano, si sbraccia affinché sia dato il misero pane a quei poveri, arrivando a proporre, se proprio c’è completa assenza di danaro in cassa, il taglio del dieci per cento sulle retribuzioni alte, ossia a dire dei dirigenti e dei capi dell’Ente, i quali incasserebbero cinque/sei mila euro netti al mese.
Digressione nella cronaca, a proposito di dieci per cento, viene alla mente la medesima aliquota, calcolata a valere su commesse e/o appalti di dimensioni rilevanti, che un manipolo di ufficiali, sottufficiali e dipendenti dell’Arsenale Militare di Taranto, per fortuna testé scoperti, inquisiti e finiti in carcere, sono andati a lungo pretendendo, a titolo di tangenti e mazzette.
All’inizio del salottino buono del centro storico, via Vittorio Emanuele, tre giovani turiste cinesi passeggiano beate, completamente a loro agio, quasi fossero di casa. Una volta tanto, un positivo risvolto della globalizzazione.
Sul percorso del ritorno, rallento, al solito, all’altezza della Sala Bingo (un tempo, il glorioso Teatro Ariston), l’unica esistente nella capitale del barocco. E però, nella circostanza, eccezionalmente e per la prima volta, mi fermo e ardisco tirare la maniglia dell’uscio ed entrare. Nell’anticamera o hall dell’esercizio, un impiegato è pronto a mettermi garbatamente in mano un talloncino numerato.
Ma io, più che altro, passo lesto a chiedergli se, rispetto agli anni passati e lontani, la crisi abbia o meno fatto sentire i suoi morsi anche lì. L’addetto, sempre gentilmente, mi risponde che l’attuale situazione non è proprio identica a quella dei primi tempi, ad ogni modo la gente affluisce tuttora nel locale in buona quantità, tutti i giorni, con la speranza d’imbattersi nella fortuna, in ciò insistendo, in parte, proprio perché il ménage della vita è diventato difficile.
Non manca, l’uomo, d’accennare anche a situazioni di dipendenza ludica evidenziate da taluni soggetti, cosa che, del resto, accade non unicamente nella Sala Bingo e si nota chiaramente mettendo piede nei tabacchini e ovunque si giochi o scommetta con gratta e vinci o strumenti similari.
A completamento della breve conversazione, l’interlocutore fa presente che il suo datore di lavoro offre agli avventori soluzioni di confort durante la permanenza nel locale, compresi pasti, preparati da servizi di catering e/o ristoranti esterni, davvero a buon mercato: cita, ad esempio, per la colazione meridiana, il primo e il secondo piatto al prezzo di soli due euro ciascuno.
Dopo la Sala Bingo, nell’ultimo tratto di strada, manco a dirlo, l’incrocio con una signora sfoggiante una tuta di lavoro dai colori accesi e vistosi: di nuovo sull’altare della curiosità, la domanda circa l’attività svolta e la relativa risposta “operatrice ecologica”. Piccolo ma indicativo particolare, la donna ha finito il suo turno odierno e, al momento, servendosi di una moneta da due euro, è impegnata a grattare su un mucchietto di tagliandi sazia popoli, anzi forieri di ricchezze e mirabilia.
I rintocchi di mezzogiorno segnano il riguadagno del mio portone di casa: con l’animo appagato e contento, in virtù sia del bel mattino sotto il sole, sia degli stimolanti incontri.

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