Carne in laboratorio: pace tra vegetariani e carnivori?

Dopo anni la lotta incessabile tra “carnivori” e “vegetariani” sembra essere finalmente giunta a termine. A far capolinea, infatti, negli scaffali dei supermercati e nei ristoranti arriverà la “carne in provetta” prodotta in laboratorio e dall’aspetto simile a quella a cui siamo da sempre abituati.

Dopo anni la lotta incessabile tra “carnivori” e “vegetariani” sembra essere finalmente giunta a termine. Perché? A far capolinea, infatti, negli scaffali dei supermercati e nei ristoranti arriverà la “carne in provetta” prodotta in laboratorio e dall’aspetto simile a quella a cui siamo da sempre abituati. Gli investimenti privati nella carne prodotta in laboratorio sono in forte crescita e, negli ultimi anni, la cosiddetta “carne pulita” aumenta sempre di più il suo interesse in un mercato saturo di prodotti scadenti. Questa scelta “cruelty free”, più rispettosa dell’ambiente, non richiede allevamenti intensivi, né macelli, né tantomeno prevede utilizzo di suolo per la sua produzione: è a ridotto impatto ambientale e porterebbe ad una riduzione degli antibiotici e degli ormoni usati negli allevamenti, e delle spese. Ma cosa fondamentale: piace a tutti, animalisti e non. Ciò che invece appare ancora come un rebus a cui non vi è riposta è la tematica che riguarda l’impatto delle emissioni: l’anidride carbonica derivante dall’energia necessaria per produrre la carne in laboratorio sul lungo termine, infatti, non rappresenterebbe la scelta migliore per l’ambiente e potrebbe farsi sentire persino di più di quelle che arrivano dagli allevamenti agricoli, dove, secondo Raymond Pierrehumbert, autore del paper pubblicato su Frontiers in Sustainable Food Systems, ‹‹per ogni tonnellata emessa, il metano avrebbe un impatto molto maggiore dell’anidride carbonica›› per poi rimanere ‹‹nell’atmosfera per circa 12 anni››, mentre ‹‹ la CO2 persisterebbe e si accumulerebbe per millenni››.

Saranno così i prossimi "hamburger provetta"?
Saranno così i prossimi “hamburger provetta”?

Tuttavia, malgrado l’aumento d’appeal ed il boom del coinvolgimento commerciale per lo sviluppo di una carne ecologica ed eticamente corretta, secondo Paul Mozdziak, biologo esperto in strutture muscolari della North Carolina State University a Raleigh,‹‹ci sono vari ostacoli tecnici-ingegneristici›› per portare la carne prodotta in laboratorio alle masse, ‹‹dovuti soprattutto alla carenze di ricerche accademiche e scientifiche non coperte dal segreto commerciale››. Se da una parte, quindi, la carne coltivata non sembra essere ancora del tutto pronta al decollo, nonostante siano stati impegnati milioni di dollari nel campo dello sviluppo di prodotti a base di proteine vegetali, dall’altra qualcosa sembra muoversi: all’articolo pubblicato su Nature News, in cui vengono posti quesiti circa lo sviluppo di adeguate linee cellulari e nutrienti per le colture in laboratorio, impalcature su cui plasmare queste cellule ed il gusto per la produzione su larga scala, ha risposto l’investimento del Good Food Institute (GFI) che ha allestito una fattoria congelata dove riporre tutte le linee cellulare da cui partire per coltivare carne da laboratorio. L’idea del centro norvegese è quella di ricreare un’agricoltura cellulare, un sistema per gli allevatori europei di inviare i loro campioni di cellule al laboratorio e creare carne artificiale. Altri progetti sostenuti dal GFI sono quelli nel campo della medicina rigenerativa: primo tra tutti quello della biofisica Amy Rowat della University of California di Los Angeles per lo sviluppo di impalcature a base vegetale su cui possono crescere combinazioni di diversi tipi di cellule bovine per la marmorizzazione del grasso nelle bistecche coltivate in laboratorio, seguito a ruota da quello di Peter Stogios della University of Toronto per lo sviluppo e l’ingegnerizzazione di fattori di crescita. ‹‹Stiamo prendendo una cosa che funziona con gli esseri umani e con i topi e la trasferiamo nelle cellule bovine››, ha affermato, Yaakov Nahmias, ingegnere biomedico all’Università ebraica di Gerusalemme, e amministratore delegato della Future Meat Technologies, una start-up israeliana, aggiungendo che ‹‹non si può ancora parlare di scienze di base›› ma che, riprendendo le parole di Ido Savir, amministratore delegato della SuperMeat a Rehovot, ‹‹c’è spazio per miglioramenti›› e per ‹‹creare un nuovo campo scientifico››. La “nuova scienza” che si appresta ad entrare sul mercato mondiale, pertanto, si trova dinnanzi a passi da gigante già fatti in passato, dal primo hamburger fatto in laboratorio da  Mark Post, un biologo vascolare dell’Università di Maastricht, soprattutto sotto l’aspetto dei costi e dei formati: dai 250mila euro si è passati ad appena 50 euro per il prototipo di una bistecca presentata lo scorso dicembre dall’azienda israeliana Aleph Farms, così come dai nuggets di pollo della Just si è passati al progresso fatto con le salsicce di maiale sviluppate dalle New Age Meats. Ultimamente gli sforzi stanno aumentando, soprattutto da parte del National Institutes of Health che finanzia la maggior parte delle ricerche sull’ingegneria tissutale e di scienza alimentare, ma rimane comunque ‹‹una terra di mezza››, come afferma Amit Gefen, bioingegnere all’Università di Tel Aviv, che sta cercando di coltivare carne di pollo su impalcature create spogliando la polpa di mela delle sue cellule. Servono, così, ‹‹approcci innovativi per la produzione ad alto rendimento di carne artificiale›› ha annunciato Nicholas Genovose della Memphis Meats di Berkeley a Nature News, augurandosi di vedere un maggior numero di scienziati dedicarsi a queste ricerche, aggiungendo anche che ‹‹la ricerca accademica può giocare un ruolo significativo›› nel campo delle startup e ‹‹avere un impatto duraturo nell’accelerare lo sbocco sul mercato››.

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